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Unità 2

Domenico Rea

Ritratto di maggio Nono capitolo

In vista delle vacanze i maestri si erano impegnati con lena allo svolgimento del programma e di conseguenza il maestro, conclusi gli ultimi tentativi di far riprendere, non i perduti, ma coloro che si trovavano a mezza strada — tra il "suff." e l' ''insuff.''1 — concentrò le sue curesu pochi scolari, tra i quali quasi tutti i paladini, e dei nostri,1 Rozza, Cummeo, Belgiorno e diversi altri. Gli altri divennero spettatori passivi, godendo di una grande libertà, perché il maestro ora tirava diritto al suo scopo e non intendeva né divertirsene perder tempo.

Aveva smesso l'abito invernale e col nuovo, di una tinta chiara, era ringiovanito. Qualche cosa di bello accadeva nella sua vita perché si lasciava spuntare anche due sottili baffetti. Sembrava insomma più pulito, anche moralmente, con un passo più leggero, una voce più vicina a noi, dando ceffoni e spalmate quando i ragazzi glieli tiravano proprio.

In uno di quei giorni la scolaresca scattò aU'impiedi per l'entrata del direttore che con la mano ci accennò di star seduti. Il maestro era disceso dalla cattedra e insieme si fecero sull'uscio. Il direttore offrì una sigaretta al maestro, che in cambio gli offrì il fuoco del cerino. Poi rientrarono e andarono sotto la parete umida. Il direttore disse che non si poteva far niente e, abbassando lo sguardo, non fece caso a quella carretta d'asini, che con tutti quei capelli e stracci, davvero sembrava ci avessero anche le orecchie.

Il maestro lo guidò al largo della lavagna e gli mostrò le mattonelle rotte e le altre staccatesi. Il direttore disse:

"Questa è una cosa da niente. Si può riparare subito. Glielo dica al muratore che sta andando appunto in giro per i guasti".

Infine il maestro disse:

"Ragazzi!" Scattammo all''impiedi e il direttore, come quando era venuto ci fece il segno di star seduti.

"Ragazzi", riprese il maestro "dopodomani verrà l'ispettore. Dovremo far trovare l'aula pulita e infiorata. Mi raccomando. Morrone, resta nel banco, ci sono fiori nella tua terra?"

"Sì, ci sono. Ci sono le rose ora".

"Bene. E fattele dare. Di' a tuo padre che le voglio io... Mi raccomando, inoltre la pulizia, gli abiti. Non vi voglio vedere strappati. Avrete pure l'abito della festa. E i capelli, a voialtri dico, via. Ognuno di voi dev' essere un fiore, dalle scarpe alla testa".

Il maestro parlava dolcemente, ma era fuori del mondo.

"Tu... tu... l'avete un abito?"

Dissero tutti di sì. Solo Rozza ebbe il fegato di alzarsi e di restare impalato nel banco.

"Che fai?" II maesro intese quel soffio di confessione e si trovò a dire:

"Allora non venire, sei scusato".

Si alzarono subito Cummeo, Giordano, Belgiorno, Driscio e un altro folto gruppo. E il maestro esclamò con se stesso qualche cosa, non potendo dire "non venite" a tutti. Chi sarebbe restato in aula e come avrebbe potuto assumersi tanta responsabilità?

"Fatevi rattoppare e pulire quello che avete. Che ci posso fare io?" E con se stesso mormorò qualche cosa.

Rare volte si era verificata tanta cordialità tra maestro e alunni. Restammo pensierosi con lui. Poi disse a Balestra di sostituirlo ed uscì. Andò in direzione e al ritorno, sollevato, dispensò dal venire una quindicina di ragazzi. Almeno questa volta l'inaspettata vacanza non li rallegrò.

L'indomani fu dedicato alla preparazione teorica. Furono chiamati alla lavagna i migliori e sottoposti a una prova di numeri e di scrittura. Facemmo una paginetta a testa di lettura ed io, Balestra Fioravanti, Sgherro ed altri paladini recitammo qualche indovinello. Rozza che sapeva le poesie della terza classe non doveva venire. E in questo stato si trovarono altri. Infine il maestro scelse i più capaci secondo i risultati ottenuti dalle prove e ci raccomandò di essere in aula il giorno dell' ispezione più tardi del solito, ma tirati coi fiocchi. Mommi ed altri due coloni dovevano venire invece prima della solita ora.

Trovammo l'aula odorosa, con gigli, rose ed erbe, coi lastroni splendidi, i mattoni divenuti rossi e lucidi, la cattedra con un nuovo; tappeto e con due file di banchi in meno, per eliminare i vuoti degli assenti forzati. Il maestro indossava l'abito chiaro del ritratto. Anche lui, fresco e lavato. Non aveva più nulla del maestro dedito alle frustate.

Balestra indossava un abito bianco crema, sui calzoncini spiccava la piega, coi bottoni bianchi sulla giacchetta. Fioravanti aveva le scarpette nere lucide, un abito scuro con la cravatta e il fazzoletto al taschino. Gigliotti indossava l'uniforme di ufficiale di marina e io quella di rnarinaretto, comprata con certi soldi venuti dall'America e che ogni anno erano attesi 365 giorni prima. Altri non avevano neanche il pagliaccio, non volevano approfittare dell ' assenza ingiustificata perché si era detto che sarebbero stati distribuiti i dolci. Altri avevano detto alle madri come stava la faccenda e costoro erano state ferite nell'orgoglio e si chiama­vano da porta a porta per raccontarsi l'affronto subito dai figli; persuasi che i loro figli fossero più che decentemente vestiti. E avevano ragione.

E ora la truppa di ragazzi esclusi e molte altre truppe aspettavano nel cortile dell' istituto per essere ammesse nelle rispettive aule.

I maestri giravano tra i portici lavati e infiorati ed erano divertiti e preoccupati. L'ispettore stava per arrivare. E la staffetta entrò e gridò:

"È spuntato, arriva, arriva".

"Dove li cacciamo questi qua?" disse un maestro. Li misero in fila e dissero: "Vedrete anche voi l'ispettore. Ora passiamo però nell'altro atrio delle scuole femminili, legate alle nostre". La turba scomparve nello stesso momento che gl'insegnanti, ciascuno dinanzi alla propria aula, applaudivano all'apparizione dell'ispettore.

Noi frèmevamo nei banchi per l'aria di festa e l'atmosfera frizzante. Il maestro era buono. Diceva con dolcezza di star zitti, ma non proprio zitti, quieti. L'ispettore già girava e il maestro ci fece le ultime raccomandazioni.

"Eccolo, eccolo, arriva. Ragazzi, pronti, ragazzi" e com' era stato convenuto gridammo a una voce:

"Viva l'ispettore!" L'ispettore guardò l'aula e noi con ammirazione. Aveva gli occhiali d'oro e d'oro due o tre denti. Senza che nessuno glielo indicasse chiamò Balestra, che rispose benissimo. L'ispettore gli chiese chi fosse, e Balestra lo disse molto bene. L'ispettore ne fu entusiasta e gli mise un braccio intorno al collo e al maestro:

"Bravo, professore. La sua è la più bella prima dell'istituto. Volontà e organizzazione ci aspettiamo dai nuovi maestri. Non me ne dimenticherò. Ella è ben degna di restare ad X. E non tema altri trasferimenti". E trovandosi Balestra sotto il braccio, gli domandò:

"Che vuoi fare da grande?"

"L'industriale" dichiarò il nostro compagno.

"Ah, ah, ah! " risero in coro l'ispettore, il direttore è il maestro. Ed anche noi.

"Viva l'ispettore!" ripetemmo. L'ispettore passò quindi nell'altro atrio e mentre lui attraversava il portico destro, dal sinistro spuntarono le truppe di bassa fanteria conciate come clown da circo equestre. Si unirono a noi intorno al maestro, che disse che dovevamo tornare la prossima settimana per le pagelle. A uno a uno gli baciammo la mano. I clown facevano ridere ed essi medesimi ci aiutavano a farlo perché, per la festa, facevano capriole, smorfie, col permesso del maestro. All'uscita andammo ad arrampicarci alle finestre della direzione per vedere come i maestri e le maestre mangiavano i gelati.

Note

1. Tra il "suff." el'"insuff." — tra i voti "sufficiente" e "insufficiente".