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Compito

Traducete il testo in russo e confrontate la vostra traduzione con guella riportata sopra.Quale traduzione vi sembra meno riuscita?

Unità 4

Leonardo Sciascia

UN CONTADINO SULLA LUNA

Lavoravano in fila, a scerpare le erbe dai solchi in cui i germogli del grano erano già alti; tanto alti e di un così intenso verde da far sperare buona l'annata.

La luna, gobba a levante, correva nel cielo di gelido azzurro: spenta, bianca come le nuvole che l'accompagnavano, ma di un bianco più cagliato ed opaco.

Levandosi in piedi per accendere un mozzicone di sigaretta, il capofila guardò la luna e disse: — Un razzo in un occhio te lo abbiamo sputato.

Si levarono anche gli altri. — A chi? — domandarono.

— Alla luna dico — disse il capofila.

— E che gli dici, alla luna? — domandò Giuseppe che non aveva sentito o, come al solito, non aveva capito.

— Le dico che le abbiamo sputato in un occhio: uno sputo che è un razzo grande quanto quest'albero d'olivo.

— Che cosa è un razzo? — domandò Giuseppe.

Tutti risero. Il capofila disse. — Non ti si può nemmeno domandare se cali dalla luna: che ora anche sulla luna si sa che cosa è un razzo... Un razzo è né più né meno che un aeroplano: ma un aeroplano che vola tanto alto quanto un aeroplano non se lo sogna nemmeno... Sai che cosa è un aeroplano ?

— Li vedo passare — disse Giuseppe — e di notte fanno luce verde e luce rossa, luce verde e luce rossa: ci salutano.

— Sì, proprio te salutano.

— Salutano tutti quelli che stanno in campagna: anche se non ci vedono, sanno che ci siamo; e salutano. Sbuffarono risate.

— Ora un razzo — disse il capofila — è un aeroplano che parte come una palla dal fucile: tu punti una specie di grande fucile, un cannone, sull'occhio della luna; lo vedi l'occhio della luna? lo punti preciso preciso; schiacci il grilletto, il colpo parte: e il razzo va dritto a infilarsi nell' occhio della luna.

— Non ci credo — disse Giuseppe.

— Sei una bestia, e perciò non ci credi: se tu leggessi il giornale...

— Non so leggere.

— E se non sai leggere, fattelo leggere: e credi a me che lo leggo.

— Tu lo leggi, è vero, — disse Giuseppe — ma a me pare una cosa forte assai: non è poi che i giornali dicano sempre la verità... È lontana la luna, è tanto lontana che non esiste nemmeno: come la morte è lontana... Tu vedi un morto su dieci: e non sai còsa è la morte, perché solo quando uno muore sa che cosa è la luna.

— Muori, te ne voli al cielo: e sai che cosa è la luna... Questo vuoi dire ?

— Non lo so, che cosa voglio dire; so che è forte assai; la storia dell'aeroplano che va sulla luna... Non ci posso credere.

— Sei ignorante — disse con disprezzo il capofila.

— Ignorante sì — disse Giuseppe — ma pazzo no: e io dico che se voi credete che si possa tirare a bersaglio sulla luna, siete pazzi.

I compagni cominciavano a divertirsi: sapevano che Giuseppe era ignorante, ma non al punto da non sapere la grande notizia del razzo che era arrivato sulla luna e decisero perciò, tra loro intendendosi con cenni ed occhiate, di armare uno scherzo da riderci su per settimane.

— Senti: tu devi dirci che cosa credi sia la luna — disse uno.

— Che cosa è la luna? — disse Giuseppe — Non ci ho mai pensato... Ma, ecco, dico che è una lampada grande, e sta appesa in cielo per provvidenza: perché ci faccia luce, di notte.

—E perché certe notti non c'è, anche se il cielo è chiaro chiaro, senza una nuvola? E perché, in questo momento, c'è : ed è giorno fatto, con tanta bella luce di sole?

— E già, — disse Giuseppe — questo è vero; c'è il sole e c'è anche la luna, questo è vero... E va bene, non lo so perché c'è: è tutto un imbroglio, e io non voglio imbrogliarmici dentro a pensare... A pensare certe cose, uno può uscire di senno: c'è, e basta.

— Se sei uomo, devi pensare: se no che differenza passa tra te e il cane, tra te e questo mulo? Avanti, parla: che differenza c'è?

— C'è la differenza — disse Giuseppe — che io sto a scerpare la mala erba per far crescere meglio il grano; e poi quando le spighe sono compiute, faccio mietitura; e trebbio, pulisco il frumento, lo porto al mulino; e poi metto acqua e lievito nella farina, e faccio il pane. Forse che il mulo sa fare il pane?

— Ecco che ci sei arrivato... Ma ora considera i primi uomini che hanno fatto il pane : chi sa quanto ci hanno pensato, quanto tempo c'è voluto per arrivarci... Una generazione appresso all'altra: prima hanno pensato di pestare il frumento, poi di impastare la farina con l'acqua, poi di cuocere la pasta; e alla invenzione del lievito chi sa quanto c'è voluto per arrivarci e chi sa come ci sono arrivati... Pensa al lievito; era tanto difficile da inventare quanto ora ti pare difficile il volo sulla luna... E quante altre cose l'uomo ha inventato: la barca, ed ora è arrivato al piròscafo grande come uri paese ; la ruota, ed ora abbiamo treni e automobili... E l'aeroplano, che ti pare dell'aeroplano? Io sono sicuro che quando a tuo nonno hanno detto che era stato inventato l'aeroplano, ha risposto come rispondi tu per il razzo: non ci credo, avrà detto, non sono tanto pazzo da credere che un uomo possa volare come un uccello.

— Questo è vero: mio nonno non voleva nemmeno credere, mi racconta mio padre, che il treno e l'automobile andassero senza cavalli; era arrivato a pensare che i cavalli che li tiravano non si vedessero per arte magica, che ci fossero i motori non voleva crederlo.

— E tu sei tale e quale tuo nonno : non vuoi credere ai razzi.

— Ora ci credo — disse Giuseppe.

Tutti gli fecero complimenti, si rallegrarono con lui: come se gli fosse capitata una fortuna, una vincita al lotto o una eredità. E Giuseppe, senza rendersi conto di che, si sentì contento.

La luna — continuarono a spiegargli — è come la terra: è più piccola della terra, ma ugualmente fatta di rocce, di terra buona, di terra da pascolo; e se fa luce è perché il sole la illumina; anche la terrа, a vederla da lontano, dall'alto, quando il sole vi batte fa luce... Più piccola della terra: ma grande quanto basta per contenere 1'Italia intera.

— Così grande è la luna? — domandò meravigliato Giuseppe.

Gli risposero che era anche più grande dell'Italia: e Giuseppe aveva dell'Italia l'idea che può averne il contadino che l'ha misurata, da Agrigento a Ventimiglia, col tempo di viaggio di una tradotta militare.

E gli raccontarono che il razzo era arrivato sulla luna in un tempo più breve di quello che lui aveva impiegato ad arrivare dal distretto di Agrigento al fronte di Ventimiglia (che l'Italia gliel'avevano fatta percorrere per quanto è lunga solo per portarlo a sparare contro i francesi) : e che gli uomini che stavano dentro il razzo erano arrivati freschi e riposati come se avessero fatto una passeggiata; e avevano esplorato la luna, e mandato notizie che la terra era buona, da coltivare a grano e fave, da alterare di aranci e olivi e mandorli; e in minima parte da lasciare per pascolo, ma: pascolo buono. Perciò si preparavano per la luna razzi grandi quanto i piroscafi che vanno in America, e si faceva ingaggio di braccianti con paga buona e assicurazione; e davano un anticipo da lasciare alla famiglia a chi lo chiedeva.

Giuseppe era sbalordito: aveva ormai imboccato la strada della fiducia, e non gli veniva dubbio sulla verità di quanto gli raccontavano.

— E voi siete ancora qui? — domandò, ma senza diffidenza, anzi con un tono che commiserava la mancanza di coraggio degli amici: buoni a lamentarsi della loro miseria e a parlare di razzi, ma senza il coraggio di salire su un razzo e dare un addio alla terra e alla miseria.

—Siamo ancora qui perché non è venuto il momento di partire: ma è questione di giorni, la domanda l'abbiamo già fatta, ci.hànno passato la visita medica.

—Io—disse il più anziano con tono di rammarico, per rendere più credibile la cosa — sono stato scartato alla visita: asma bronchiale.

— Non avresti dovuto fumare per tre giorni, prima della.visita — disse Giuseppe con convinzione. E poi, con improvviso risentimento—Che razza d'amici siete, però? C'è un buon lavoro, con buona paga, e non mi dite niente...

— È una notizia che non si deve diffondere, se non sai come finisce: faranno tutti domanda, si faranno raccomandare; e noi che siamo i primi diventeremo gli ultimi.

— Questo è vero: ma a me potevate dirmelo.

— Hai ragione... Ma del resto, fai in tempo ad essere tra i primi; tu stasera vai dal collocatore comunale, lo impietosisci un poco col racconto dei tuoi guai; e quello ti fa l'ingaggio.

— Non è meglio se mi faccio raccomandare dall'arciprete?

— No, meglio è se al collocatore porti un regalo: una dozzina di uova, o una gallina.

— Due dozzine d'uova — disse Giuseppe, deciso.

Adatatto da L.. Sciascia