
Italians_Una_giornata_nel_mondo
.pdfCorrendo sulla Lichtentaler Allee a Baden Baden (Germania)
Chiara Lombardo
La cosa entusiasmante di questa passione è che, ovunque si vada nel mondo, la si può portare con sé: è sufficiente riservarle in valigia lo spazio di un paio di scarpe da ginnastica e di una tuta. Se potessimo elevarci di appena qualche metro sulle nostre città, scorgeremmo un viavai di corridori di tutte le età, formiche indaffarate che, pur incrociandosi di continuo, non entrano mai in vero contatto. La corsa, infatti, è una delle poche attività che non richieda la presenza di un compagno: ognuno cadenza la falcata sul ritmo del proprio cuore; ognuno ritaglia orario e circuito personalizzati; ognuno è libero. Ma le passioni, si sa, pretendono dai seguaci costanza e sacrifici... In questi giorni di vacanza, durante i quali la corsa mi ha accompagnata a Baden Baden, il mio piccologrande sacrificio consiste nell’abbandonare il soffice tepore del letto, che solo i piumoni tedeschi sanno custodire, per tuffarmi nell’umida bruma della Foresta Nera. Corro sulla pista ciclabile lasciata diligentemente sgombra dai pedoni imbacuccati, costeggio l’imponente casa della musica, entro nei giardini della salute; alla mia destra sfilano il colonnato dell’antico stabilimento termale e il casinò, dove si narra che il Russo sventurato, prima di scrivere I fratelli Karamazov, sia caduto in disgrazia in una sola notte. I lampioni a sei bracci si illuminano al mio passaggio. Da sotto le tettoie liberty della Goetheplatz due annoiati cavalli grigi, attaccati a un cocchio, si voltano pigri al rumore della ghiaia sotto la mia corsa. Giunta al sontuoso teatro, imbocco finalmente il Viale Lichtentaler che costeggia il fiume attraversando sereni giardini sui quali sono già scesi l’autunno e la sera. Non potendo resistere alla seduzione inviolata dei prati, oso valicarne i confini e mi ritrovo a correre su di essi, tra faggi, sequoie e querce secolari. Fiatone. Sudore. Occhi chiusi. Libertà. Ma ecco che, nel buio, emerge la «Villa im Park» dalle pareti avveniristiche bianche e vetro che ri-
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flettono la luce lunare. Sculture, sull’erba, forse fuggite dalle sale del museo, si fanno anch’esse silenziose spettatrici di questo incanto serale senza tempo. Ore 19.00: mentre le mie ossa bevono il calore della doccia, ripenso a questa corsa così diversa da tutte le altre e alla passeggiata storica, un tempo di imperatori, musicisti e artisti che, da stasera, è anche mia.
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Mind the gap
Maria Grazia Bucalo
Ore 18: quasi ora di cena nella fredda e grigia Manchester. Vivo qui ormai da sei anni, con mio marito e le mie due splendide bambine. «Mamma, la pizza la voglio con senza prosciutto!» Piccola imperfezione del bilinguismo faticosamente e finalmente raggiunto, la sua personalissima traduzione di without. Eppure a ben guardare è il mio ossimoro esistenziale, come mi sento io: con e senza allo stesso tempo. Con mille possibilità davanti, per me e le mie figlie, in una terra che non frustra il coraggio, le idee, il voler fare. Senza il sole di maggio (per non dire degli altri mesi), il mare, la terra che odora di casa e di buono. A vivere in una terra di parole senza musica. Con e senza l’Italia. Quella di ieri, di quando me ne sono andata, che non c’è più. E quella di oggi, mai del tutto mia. Ore 18.30: siamo a tavola. «Io sono metà in inglese e metà in italiano.» La più piccola sembra capire al volo, e in dieci secondi ci dà una dimostrazione pratica: tutta compita ed educata quando dice: «Daddy, please!», poi si gira e fa: «Mamma, ’nd’annamo domani?». Due modi di vivere, di sentire. Rido, e penso che ne vedremo delle belle quando cresceranno, un mix tra il bisogno innato di mettersi in fila e quello di fare i furbi. Riservatezza inglese e calore umano latino. Ordine e genialità, secondo ossimoro della serata. Ore 19.00: ora di chiudere la giornata. Leggo loro una storia, poi un bacio e la buonanotte. Sono un po’ agitate, siamo quasi in partenza. «Sei contenta che fra tre giorni vedi la tua mamma?» «Sì, amore. Adesso dormi.» Ripenso al mio ossimoro esistenziale, al magone prima di tornare a casa... (perché dici ancora casa, nota mio marito, questa è casa tua). Non voglio questo per loro. Spero che la loro casa sia grande come il mondo. È questo il futuro, e il futuro è loro. Mind the gap.
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Le sei di sera in Harvard Square
Emilia Pozzi
«Have I made the right choices?» «Ho fatto le scelte giuste?» Queste parole mi suonano in testa mentre, alla fine di una giornata di lavoro, mi ritrovo in coda nel traffico verso casa. Una pioggia improvvisa mi sta annebbiando la vista. Per fortuna il tragitto è breve, Commonwealth Avenue to Mass Avenue, poi davanti all’Mit, Harvard Square e a casa. Ho fatto le scelte giuste... solo una frase senza nemmeno il pensiero di una risposta. A volte è come se il percorso che mi ha portato alla mia vita di adesso sparisse e mi ritrovo solo con i risultati che guardo con occhi nuovi, quasi sorpresi. E mi ritrovo in Harvard Square come per la prima volta, 25 anni fa, spersa e felice, pronta a iniziare la mia nuova vita. «Hi Mommy, how was your day?» Due ragazze ormai quasi adulte che non mi hanno mai chiamato mamma, che sanno a malapena chi è Dante e non leggeranno mai I promessi sposi, che amano la pizza fredda per colazione. «Fine, Nicole, how was school?» Come sempre è seppellita sotto i libri, mi guarda appena, sta studiando tre materie allo stesso tempo. «Ho il test di matematica e un quiz di fisica e una ricerca di storia da finire.» «Junior Year», il penultimo anno di scuola superiore dove, negli occhi degli studenti e anche di molti genitori, ci si gioca la propria intera vita. Un anno pieno di esami per l’ammissione al college, l’Sat, almeno quattro Sat II, un paio di Ap. Questi in aggiunta a una grande pressione sui voti durante il normale anno scolastico. Ma mia figlia maggiore, Grace, è sopravvissuta e ora felice a Georgetown University. Mi ricordo il liceo scientifico di Gallarate, dove i voti venivano determinati principalmente dal rango nelle interrogazioni. Se si era fra i primi a essere chiamati i voti erano scarsini, se invece si era tra gli ultimi, i bene erano abbondanti, con solo cinque allievi non ancora interrogati, era difficile mancare il proprio turno. Niente scorciatoie per le mie ragazze: i loro voti sono determinati dalla media precisa di quiz anche setti-
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manali, test frequenti ed esami riassuntivi dell’intero semestre. E conta pure la partecipazione alle discussioni di classe, a scapito dei sogni a occhi aperti. Niente paura di essere troppo intelligenti per le mie ragazze. Ma anche niente giri in motorino, niente incontri in piazza per vedere il ragazzo che piace. Nel poco tempo libero e durante le vacanze bisogna arricchire il curriculum vitae con attività di volontariato oppure attività sportive in cui è indispensabile eccellere. Penso ai miei tre mesi di vacanza a Varazze, il dolce far niente, gli incontri la sera al muretto. La sola competizione era intorno all’abbronzatura più bella. «Ho fatto le scelte giuste?» Mio marito mi viene incontro con un sorriso e ha già preparato la tavola. La sua virilità non è mai stata messa in gioco, non quando si alzava di notte per calmare le bambine, non quando le visite pediatriche coincidevano con i miei impegni di lavoro. Sempre entusiasta per la mia cucina italiana senza mai una suocera che mettesse in dubbio le mie doti domestiche. Ma sono quasi le sette ed è meglio che inizi a preparare la cena.
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L’ultima ora di quiete
Luigi Lazzaro
L’Uomo timbrò il suo cartellino: 18.00, e si avviò a passo lento verso il cancello d’uscita della fabbrica. Nella sua testa ogni suono si ripeteva in un’eco cacofonica mentre l’angoscia si scavava la tana nel suo petto. L’ora paventata da diversi giorni si stava avvicinando, minacciosa. L’ambulatorio di radiologia presso il quale il suo medico curante l’aveva indirizzato per «un torace» era a pochi minuti di cammino dal suo ufficio. Aveva stampata nella mente l’espressione del suo medico, quando gli aveva raccontato della secca tosse stizzosa e del cupo dolore alla schiena che lo tormentavano da vari giorni: l’aveva guardato intensamente, le labbra strette in una linea biancastra e, senza neanche visitarlo, aveva chiamato lo studio di radiologia, fissando un appuntamento per la mattina successiva, per un «torace», urgente. Quella mattina, alle otto, allo studio di radiologia avevano subito provveduto a effettuare le lastre, ripetute in varie posizioni. Aveva cercato di ottenere qualche anticipazione dal tecnico di radiologia, ma questo si era allontanato in fretta biascicando qualcosa di incomprensibile. Gli venne poi consegnato un talloncino di un bel colore indaco, pregandolo di passare a ritirare il risultato dopo le 18. Durante tutta la giornata una sottile inquietudine gli aveva spazzato il cervello, come un turbine di foglie secche, mentre se ne stava seduto, ingobbito alla sua scrivania. Ecco, la porta dello studio medico gli si para davanti con il suo assurdo maniglione giallo. Entra nella grande sala male illuminata e si accoda a una decina di persone in fila davanti al banco dove una segretaria in camice bianco consegna grandi buste color marrone. Al fondo del salone, sulla destra, parte una scalinata illuminata da un neon che, ormai esaurito, lampeggia in modo disordinato. La fila davanti a lui si accorcia, l’agitazione gli fa tremare leggermente le mani. «Prego signore, il numero?» Consegna il talloncino dal bel colore indaco, il suo sguardo fisso sulle dita della donna; sembrano
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zampe di ragno che si arrampicano veloci tra le buste. La donna cerca una volta, una seconda, controlla il talloncino, prende il telefono e chiede qualcosa, alla risposta alza lo sguardo sull’Uomo, distogliendolo subito non appena incrocia i suoi occhi. Posa la cornetta con un gesto esageratamente delicato e gli dice di andar su, al primo piano, stanza 3, dove il medico l’aspetta, deve parlargli. Indica la scalinata al fondo del salone. In preda all’angoscia l’Uomo si avvicina alla scala male illuminata e inizia la salita. La luce del neon va e viene con dei secchi tic-tic, poi, d’improvviso un guizzo di luce blu-violacea e il buio gli si stringe addosso, mentre una forza maligna lo avviluppa nella sua nera rete. Ore 19.00.

Ore 19