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[Jean_Paul_Sartre]_Visita_a_Cuba(BookZZ.org)

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riforma a alla fine per fargli abbandonare il potere attraverso un colpo di Stato.

L'esercito cubano proteggeva i latifondisti ed era, senza che se ne rendesse conto esplicitamente, lo strumento dell'imperialismo straniero. Questo esercito si opponeva a qualsiasi riforma strutturale. Del resto, dal momento che costituiva l'unica forza dei grandi proprietari, se fosse scomparso, con esso sarebbe scomparsa la possibilità di sabotare una riforma. Bisognava quindi attaccare in primo luogo l'Esercito e farlo dov'era più debole: nelle campagne e non nelle città, contando sull'aiuto dei contadini che esso opprimeva. Con lui sarebbe crollato il sistema coloniale.

Questa visione chiara e pratica che si concretizzò nelle lotte sulla Sierra Maestra, mise i rivoluzionari a diretto contatto con la classe contadina e provocò inevitabilmente una loro radicalizzazione. Scoprirono dapprima la miseria rurale, lo sfruttamento, l'infelicità: una scoperta che rappresentò per la maggior parte di loro uno «shock» totale; poco a poco riuscirono a comprenderne tutta l'importanza.

Inoltre, se la popolazione contadina doveva assumere nelle proprie mani la lotta per l'indipendenza, si doveva cominciare a farle capire che l'indipendenza era affar suo, era il suo interesse fondamentale. La natura stessa della lotta doveva svelare ai ribelli la profonda esigenza popolare: attaccare l'esercito di Batista nelle campagne e promuovere la Riforma agraria erano, in fondo, la stessa cosa. E, alla fine di questo ampio sviluppo, si evidenziarono i primi elementi di un'ideologia: la sovranità di Cuba, la sua indipendenza, l'onestà dei suoi dirigenti e la Riforma agraria erano indissolubilmente legate; il miglioramento del livello di vita popolare e il cambiamento radicale delle antiche strutture si condizionavano reciprocamente Tra l'ideologia disfattista del parlamentarismo borghese, dell'individualismo, e l'ideologia umanista del popolo non vi sono ter-

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mini intermedi. L'uomo è capace di cambiare le proprie condizioni di vita. Ma non può mutare qualsiasi cosa e come desidera: in realtà, le necessità oggettive potrà cambiarle solo cambiando se stesso. Può ottenere la sovranità nazionale e la libertà, ma può farlo solo rovesciando la falsa democrazia borghese che mantiene la miseria del regime di proprietà. Può farlo se smette di pensare a se stesso e di considerarsi come individuo separato, orgoglioso delle proprie diversità, e in quanto tale determinante, per trasformarsi nel popolo e attraverso il popolo, in una persona libera in mezzo agli altri.

Mi fermo qui con le mie riflessioni: si è visto come una lucida prassi abbia cambiato a Cuba la concezione stessa dell'uomo. Si è visto anche come i problemi umani astratti (onestà, sovranità) portino ai problemi concreti della produzione, delle strutture sociali, e come questi problemi rappresentino l'aspetto pratico e materiale di una problematica umana e umanistica. Il metodo del pensiero si evidenzia qui in modo molto chiaro: non separare mai le esigenze della produzione da quelle del- l'uomo. Il duplice aspetto della Riforma agraria ne è un chiaro esempio: concede un nuovo potere alle classi rurali e spezza il dominio straniero creando un mercato interno. Ma, allo stesso tempo, la Riforma agraria è giusta: sopprime i privilegi e la miseria, permette al lavoratore di essere padrone della terra e di costruire una casa. Questi due caratteri indissolubili rappresentano forse l'originalità dell'ideologia cubana: il problema umano deve risolversi in termini di produzione; l'unico sviluppo vitale della produzione sarà quello che soddisferà complessivamente tutte le necessità dell'uomo.

Dopodiché si può capire perché il governo non si precipiti a lanciare dichiarazioni socialiste e radicali: ciò che fa giorno dopo giorno sotto la pressione straniera, assume ai suoi occhi un significato originale e profondo. La socializzazione radicale sarebbe oggi un obiettivo astratto e la si potrebbe volere solo in

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nome di un'ideologia prefabbricata, dato che le necessità oggettive, per il momento, non la richiedono. E se un giorno vi si dovrà far ricorso, sarà per prima cosa per resistere al blocco e nel quadro di un'economia di guerra.

In ogni caso, però, il fenomeno apparirà con la duplice caratteristica che ritroviamo in tutte le misure adottate dal governo rivoluzionario: sarà una re-azione, un contra-golpe e, se la si dovrà mantenereo, sarà l'espressione del significato autentico della Rivoluzione cubana e frutto della sua autoradicalizzazione. D'altra parte, in quel momento noi saremo sicuri che tale socializzazione soddisferà le nuove esigenze della produzione e le rivendicazioni umane del popolo cubano.

È certo che la pratica crea l'idea che ne fornisce una spiegazione. Ma sppiamo ora che si tratta di una pratica concreta e particolare, che scopre e plasma l'uomo cubano nell'azione.

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UN INCONTRO CON GLI SCRITTORI CUBANI*

Moderatore: Signore e signori, dato che questa riunione non è stata preparata, devo avvertirvi che ogni persona potrà fare una sola domanda in spagnolo. L'interprete tradurrà le risposte. Non avendo a disposizione una lista in ordine alfabetico, coloro che desiderano fare delle domande alzeranno la mano.

Ant6n Arrufat: Che cosa pensa della letteratura ispano-ame- ricana e, in particolare, di quella cubana?

Sartre: Va detto innanzitutto che sfortunatamente le relazioni culturali tra l'America latina, Cuba e la Francia non sono così strette da consentirmi di parlare della letteratura ispanoamericana. Per quel che mi riguarda, conosco un certo numero di opere che apprezzo, come per esempio quelle di Carpentier, di Nicolas Guillén, che conosco bene, e altre ancora. Ma non sono in grado di esprimere un giudizio complessivo sulla letteratura cubana. Se vuole, posso parlare delle opere che conosco, ma non ritengo di poter parlare delle letteratura ispano-ameri- cana nel suo complesso.

Sergio Rigo[: A proposito della recente pubblicazione di alcune opere postume di Husserl, vorrei che esprimesse un bilancio generale della fenomenologia come metodo e come tentativo di spiegazione della realtà.

* <<Una entrevista con los escritores cubanos», dal numero speciale di Lunes de Revoluci6n cit. Vedi nota precedente. Traduzione dallo spagnolo di Antonella Marazzi [n.d.r.].

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Sartre: Il metodo fenomenologico è accompagnato da una filosofia fenomenologica. Noto che, in Europa, in molti casi si ha la tendenza a separare la metodologia dalla filosofia. La metodologia consiste nel descrivere, vale a dire è il momento in cui ci poniamo di fronte a un oggetto completo e sintetico. E percepiamo che l'analisi è impotente a parlare dell'oggetto: è come se si cercasse di descrivere un orologio separandone le parti. Ciò che si tenta di fare è descrivere l'insieme senza separare le sue parti. Questo metodo viene giustificato da Husserl sulla base di una teoria della coscienza, in particolare di una teoria della coscienza trascendentale, e siamo in molti a ritenere che questa teoria, in realtà, sia inutile. Tuttavia, sul terreno della dialettica, per esempio, il momento della fenomenologia rappresenta un complemento del momento dialettico. Vale a dire che, prima di mostrare il passaggio a una sintesi del concetto, dell'emozione o dell'essenza, la fenomenologia (e qui ci riferiamo al significato che gli dava Hegel) fornisce la descrizione delle essenze contraddittorie che vanno superandosi in una nuova essenza.

Per cui, se si volesse, si potrebbe individuare a tutti i livelli del movimento dialettico una separazione, che sarebbe la descrizione, vale a dire, la fenomenologia.

Sergio Rigo!: Le vorrei domandare se crede in uno scioglimento della fenomenologia nella dialettica, cioé, se la fenomenologia è fallita come spiegazione della realtà, ma ha trionfato come metodologia.

Sartre: È esattamente ciò che penso.

Sergio Rigo!: Allora è d'accordo con Tran-Duc-Thao? Sartre: Niente affatto. Perché ci sono molte forme di inter-

pretare il marxismo, la dialettica e i suoi rapporti con la fenomenologia.

/sabel Monal: Vorrei chiedere al signor Sartre qual è la sua opinione sull'arte sociale e, in particolare, sulle manifestazioni sceniche dell'arte.

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Sartre: Vorrei rispondere con un'altra domanda: ritengo che, in generale, tutta l'arte sia sociale; di conseguenza penso che lei alluda a un tipo particolare di arte e vorrei sapere quale.

Isabel Monal: Mi riferisco all'articolo su Revoluci6n di oggi, nel quale il dr. Fidel Castro fa una serie di considerazioni su quest'arte e lei gli risponde che è d'accordo. Vorrei che mi spiegasse meglio.

Sartre: Ritengo che, in fondo, dato che siamo tutti intellettuali, si può presentare il problema dal punto di vista del contributo dell'artista a un movimento sociale di cui faccio parte e al quale aderisco.

Credo che nella conversazione egli facesse una distinzione tra periodi di calma durante i quali il contributo dell'artista dovrebbe essere meno attivo e periodi come quello attuale in cui tutti gli sforzi dovrebbero tendere a questo fine. Dato che ora siamo in un periodo di movimento, parliamo soltanto di questo. Il problema è capire se è possibile per uno scrittore cubano oggigiorno non ispirarsi alla situazione nella quale si trova. L'arte sociale, nel modo in cui è intesa, non viene imposta dall'esterno, ma se l'arte si esprime attraverso l'insieme delle caratteristiche emotive proprie dello scrittore, è evidente oggi che le preoccupazioni che affliggono la Rivoluzione, in particolare i pericoli che s'incontrano attualmente, debbano prefigurare le intime preoccupazioni dello scrittore e al tempo stesso la sua attività e il suo destino, che deve partecipare al momento, dato che si tratta di vincere o di perdere tutto.

In tali condizioni, i temi più classici e più astratti, per esempio l'amore, non possono venir vissuti dallo scrittore in quanto uomo, ma come qualcosa che è in pericolo, perché non c'è nulla che non possa scomparire, che non sia minacciato, per il pericolo stesso in cui versa la Rivoluzione. In un situazione del genere , tenendo conto che lo scrittore testimonia e dà un significato a questo insieme concreto che gli è proprio, è impossibi-

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le immaginare che egli possa parlare di qualcosa che non sia la liberazione o la minaccia di una nuova schiavitù che caratterizzano la situazione attuale.

Né è concepibile che questo scrittore abbia assistito alla sepoltura delle vittime del piroscafo «La Coubre» e se ne sia andato a casa a scrivere un poema sui fiori, piuttosto che parlare agli altri delle cose che stanno accadendo e di cui mi piacerebbe avere una spiegazione

Ciò non significa che un'azione pratica determini un'idea. Che non abbia niente a che fare con questo evento. Che non sia nemmeno possibile farlo dall'interno. Faccio un esempio personale. Sono partito dalla Francia con una prefazione che avevo cominciato, ma che ora mi rompe le scatole, e per la quale non provo più l'interesse che mi sarebbe stato molto facile provare a Parigi.

Vale a dire che, in definitiva, quest'arte che lei chiama «sociale» e che io chiamo «impegnata» non fa altro che riflettere il desiderio, non fa altro che riflettere la situazione. È ciò che hanno sempre fatto tutti gli scrittori, dato che il loro silenzio è stato sempre impegnato tanto quanto le loro parole.

Di conseguenza, si può dire che uno scrittore che non si impegna è uno scrittore che in questo modo dimostra di non essere d'accordo. In definitiva, non credo che un'arte sociale possa essere imposta a un artista; ma se si considera che uno scrittore dev'essere prima di tutto come gli altri e non un individuo particolre come si credeva ai tempi di Maurice Barrés, per esempio, è evidente che ciò che egli scrive è ciò che tutti sentono o dovrebbero sentire. Mi sembra che il ruolo dello scrittore deve essere chiarito al massimo e nel miglior modo possibile - qualcosa che altre persone non hanno il tempo di fare perché sono occupate in altre attività - e non andare a cercare le cose particolari o eccezionali che costituirebbero il campo proprio dell'arte.

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Mario Paraj6n: Lei ha scritto che un'idea è al tempo stesso l'aggettivazione dell'uomo e la sua alienazione.

Sartre: Non ricordo di avere scritto esattamente in questi termini, ma è come se lo avessi fatto. Sono d'accordo. Un'idea non è altro che il significato di un'azione pratica. Per esempio, la teoria economica del bimetallismo o l'assurda concezione dell'oro come merce del XVII secolo in Spagna, nasceva semplicemente dal fatto che esistevano miniere d'oro dalle quali si estraevano lingotti che circolavano nel Paese. Non sono cubano, ma per il fatto stesso di star qui, sto trascinando questa prefazione come se fosse una palla di ferro che m'incatena. Voglio dire che l'azione pratica e l'idea sono la medesima cosa. Cioè, il superamento di una situazione da parte degli uomini. E in queste condizoni un'azione pratica è sempre alienazione, almeno nelle condizioni economiche e sociali che conosciamo; perché il fatto di superare una certa situazione in mezzo ad altri individui e ad altri gruppi sociali, spinge questi ultimi a fare la stessa cosa. E in questo momento, di conseguenza, l'azione stessa trasformata dall'azione degli altri, ricade come alienazione sul suo autore; tornando all'esempio dell'oro spagnolo, abbiamo la reazione che si produsse contro l'importazione in massa dell' «oro del Perù».

La Spagna fu, per la maggior parte dei commercianti genovesi, milanesi o francesi dell'epoca, il paese che provocò il contrabbando dell'«oro». Da qui derivò quella specie di salasso perpetuo di oro che contribuì a indebolire la Spagna; di conseguenza, la sua azione gli si ritorse contro.

L'idea, la teoria economica dell'oroche al tempo stesso è quella cosa pratica che era nota in quell'epoca - è, di conseguenza, la trascrizione in parole o discorsi di quella pratica alienata. Si trasforma essa stessa in alienazione e dato che ogni azione pratica è aggettivazione di quella stessa nel gruppo - vale a dire, che essa crea la propria realtà nel mondo - si può

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dire che l'idea che rappresenta questa pratica è al tempo stesso l'aggettivazione dell'uomo e il suo riconoscimento come alienato.

D'altra parte, la contraddizione si trasforma in opposizione a questa conoscenza, perché essa è in primo luogo una pratica che si oppone alla pratica passata. Si prenda un altro tipo di idee, per esempio un'idea dei cubani prima della Rivoluzione: «l cubani reazionari dicevano che non poteva esistere Cuba senza la canna da zucchero». Questa è un'idea, ma non era altro che dar forma a un insieme di pratiche di sfruttamento che esistevano già in precedenza.

Di conseguenza, un uomo che credeva a tutto ciò qualche anno fa, pensava a se stesso come cubano dicendosi, in un certo senso: «lo sono vittima di questa situazione, il mio destino è la canna da zucchero, lo straniero e i latifondisti. Pertanto, sono un uomo impotente e con poco potere; dunque, il mio destino è questo». Questa era un'idea certa finché non venne superata, vale a dire finché non ci fu la Rivoluzione, la Riforma agraria e la policoltura ecc. E in questo nuovo contesto, i cubani hanno un'altra idea di se stessi.

Humberto Arenai: Crede che la Rivoluzione cubana cambierà radicalmente in futuro le relazioni tra l'America latina e gli Stati Uniti, vale a dire, tra paesi sottosviluppati e la forma ultima dell'imperialismo?

Sartre: Su tali questioni politiche, voglio dire che sono venuto qui per imparare e non per parlare; se però vuole la mia personale opinione, dopo quindici giorni di permanenza a Cuba direi che, in effetti, la Rivoluzione cubana ha un'importanza determinante per i paesi sottosviluppati dell'America latina e, del resto, credo fondamentalmente che sia proprio questo che dà il senso del conflitto tra l'America del Nord e Cuba, molto più che non i problemi strettamente legati alle relazioni tra società private e il governo cubano. E l'esempio più semplice

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che ho imparato (perché, ripeto, tutto ciò l'ho appreso qui) è che la Compagnia elettrica di Cuba è filiale di un'altra compagnia che ha il monopolio di tutta l'elettricità in Sudamerica.

Di conseguenza, i problemi sono sicuramente gli stessi. Quando si attacca la compagnia per avere supercapitalizzato i proventi qui ottenuti, è evidente che questo tipo di attacco è molto utile a tutti i governi dell'America latina.

Per cui mi sembra che abbiamo di fronte una duplice e dialettica determinazione che crea simultaneamente la pericolosità della situazione E tutte le sue possibilità consistono nel fatto che, da una parte, gli Stati Uniti non possono lasciare che il vostro paese si trasformi, in un certo senso, nel leader di massa dell'America latina, e che, d'altra parte, l'America latina stessa si trovi portata a prendere una posizione che sarà sempre più favorevole al vostro paese, qualunque sia l'atteggiamento dei governi di questi paesi.

Pertanto è tra questo pericolo e questo beneficio che si giocherà tutta la politica degli Stati Uniti.

Eduardo Manet: Qualche anno fa lei ha scritto una sceneggiatura cinematrografica e da allora non ne ha fatte altre. Vorrei sapere se rifiuta la macchina commerciale cinematografica o se ha perso interesse verso il cinema come mezzo di espressione e, in questo caso, vorrei sapere perché.

Sartre: Non è per nessuno dei due motivi, ma lei sa che le sceneggiature vengono ordinate, vale a dire che sono i produttori e i registi che danno l'incarico a uno scrittore, che poi sarei io, di scrivere su un determinato soggetto. In questo caso il soggetto può interessare o no.

D'altra parte, ho appena finito di scrivere una sceneggiatura su «La vita di Freud». In realtà, per me, il cinema rappresenta un mezzo di espressione che considero fondamentale ed è questa la ragione per cui, poi, non mi sento del tutto soddisfatto quando scrivo una sceneggiatura, perché credo che i film che si

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