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[Jean_Paul_Sartre]_Visita_a_Cuba(BookZZ.org)

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noi, che la grande stampa francese non osa dire ai suoi lettori la verità sulla guerra d'Algeria. I colleghi di France-Soir, tra gli altri, sanno che non è vero. Falsa allo stesso modo è l'affermazione del dottor Sartre (France-Soir del 2 luglio) che la stampa americana non abbia mai parlato dei turisti e degli assassini del dittatore Batista.

I periodici della stampa liberale americana come Harpers, The New Republic e il mio stesso giornale, The Reporter, hanno salutato la vittoria di Fide! Castro come avevano denunciato i crimini del regime Batista e come avevano criticato il governo americano per non aver interrotto gli aiuti militari fomiti a Cuba. (Questi aiuti sono normalmente forniti a tutti i paesi dell'America latina senza distinzione di regime.)

È il lato sadico e pubblicitario dei processi ai partigiani del vecchio regime e l'eccesso di zelo dei plotoni di esecuzione castristi che hanno, alla fine, alienato le simpatie dei liberali americani.

Quanto alla stampa quotidiana degli Stati Uniti, non voglio difenderla in blocco. Periodici come The Reporter sono stati creati esattamente per colmarne le lacune e per correggerne le deformazioni che sono state evidenti nella sua presentazione della rivoluzione castrista come in altre occasioni. Bisogna riconoscere, tuttavia, che degli editorialisti indipendenti come W alter Lippmann e molti dei più grandi quotidiani influenti come il Washington Post, il St. Louis Post Dispatch, il New York Times, hanno onestamente e ampiamente informato i propri lettori di quello che succedeva a Cuba durante il regime di Batista.

Un inviato speciale del New York Times riuscì addirittura in un'impresa di cui ogni giornalista sarebbe fiero. Superando le pattuglie di Batista, raggiunse Fide! Castro suella Sierra, quando il governo cubano - era il febbraio del 1957 - lo credeva morto. Si chiama Herbert L. Mathews, un uomo pressappoco

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dell'età di Sartre. Lo conosco, è uno «yankee puritano» nel quale la ricerca della verità è, nello stesso tempo, un principio e una passione, a tal punto che non esitò a lasciare le importanti mansioni e il suo comodo ufficio del giornale per confermare, rischiando la pelle, che il leggendario capo dei ribelli era vivo. Mathews rivelò anche che il suo movimento faceva, ogni giorno, enormi progressi nell'entroterra, cosa che la censura di Batista era riuscita, fino a quel momento, a nascondere ai corrispondenti stranieri a Cuba.

Questo esempio fu seguito da altri giornalisti americani, tra i quali Karl Meyes, che scrisse eccellenti articoli dello stesso tipo per il Washington Post e The Reporter. I loro resoconti scossero talmente l'opinione pubblica americana che l'ambasciatore degli Stati Uniti all'Avana denunciò lui stesso pubblicamente la brutalità del corpo di polizia cubano.

Accusando la stampa americana di lasciare nel silenzio i crimini di Batista, il dottor Sartre quindi falsifica la storia; la snatura sistematicamente dando la costante impressione che tutti negli Stati Uniti siano sostenitori di interessi economici particolari. Come abbiamo già visto, l' International Telegraph and Telephone Corporation e la United Fruit Company non dettano legge a The Reporter né al New York Times. Il vostro corrispondente a Washington vi potrà confermare che non la dettano neanche al Dipartimento di Stato né alla Casa Bianca, anche sotto un'amministrazione repubblicana.

Allo stesso modo, tracciando una caricatura così semplicista dell'imperialismo economico americano - che diversi storici yankee hanno processato molto prima di lui - Sartre descrive il colonialismo d'altri tempi. Prima di Franklin D. Roosevelt, i dirigenti americani hanno creduto qualche volta di servire gli interessi della nazione sostenendo i proprietari dei latifondi in America latina e incoraggiando la monocoltura in un paese come Cuba. Dopo la guerra, in seno all'Organizzazione degli Stati

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americani, gli Stati Uniti appoggiano attivamente la Riforma agraria e le loro missioni economiche aiutano i paesi latinoamericani a diversificare la propria agricoltura o a sviluppare le industrie. (Per esempio il tentativo di creare a Cuba un'industria della carta a partire dalla bagassa della canna da zucchero.) Anche la politica dei grandi trust economici del Nordamerica si è un po' evoluta. Altrimenti, le compagnie petrolifere, invece di creare a Cuba l'industria di raffinazione che il governo di Castro ha appena espropriato, avrebbero continuato a vendere, a prezzi più alti, prodotti che arrivavano dagli Stati Uniti.

Per concludere, il dottor Sartre sembra voler dimenticare il cambiamento fondamentale, rivoluzionario, avvenuto nei rapporti tra gli Stati Uniti e le repubbliche latinoamericane da quando l'America, con il patto di Organizzazione degli Stati Americani, si è solennemente impegnata a non intervenire mai più, nel territorio del vicino, con le armi per difendere i propri interessi. È proprio questo impegno che permette a Fidel Castro di confiscare, oggi, i beni americani: è di questa immunità che approfitta per sfidare il governo americano. Non mi azzarderò a polemizzare con il dottor Sartre riguardo alle riflessioni molto strane sulla democrazia che gli ispira quella, un po' astratta, di Cuba. È da giornalista che leggo i suoi testi. Sono brillanti, appassionati e qualche volta anche di più. In alcuni punti gettano una luce rivelatrice sulla mentalità dei rivoluzionari cubani, ma scommetto che se uno dei vostri ammirabili corrispondenti abituali si permettesse di consegnare un pezzo di carta così unto di partiti presi, così pieno di inesattezze, finirebbe con ogni probabilità nel cestino. Il dottor Sartre dimostra che è più facile criticare il giornalismo d'informazione che costringersi alla dura disciplina dell'oggettività di cui egli ha bisogno quotidianamente.

Edmond Taylor

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«Ero un amico di Castro», ci scrive Guillermo de Black, vecchio diplomatico cubano: «Tre dei miei nipoti erano con lui ma, prigionieri dell'esercito di Battista, furono assassinati. Ora è un mio nemico». E spiega:

Gli articoli di Jean-Paul Sartre non sono che una diatriba contro tutti i governi cubani e americani, contro il capitale cubano e americano e un inno al merito di Castro. Per quello che riguarda il nostro problema economico e, soprattutto, il problema dello zucchero, proposto in un modo così drammatico dallo scrittore di teatro che è Sartre, mi sembra che la nostra ambasciata a Parigi, attualmente gestita da un membro dell'Università dell'Avana, potrebbe darvi dei chiarimenti rispetto alla nostra situazione economica prima dell'arrivo di Castro; una situazione che ci invidiavano in America latina.

Avendo tra le mani solo poche cifre riguardo alla questione dello zucchero, non oso toccare il discorso in questione. Comunque, è facile provare che il problema di Cuba non è un problema di zucchero e di dominazione economica ma un problema politico di base. I miei compatrioti sono delusi da Castro come lo sono io. L'uomo della libertà si è mutato in uomo del dispotismo venduto a Mosca.

«Un'orda di camicie nere vestite da pecore democratiche»

«Un'orda di camicie nere vestite da pecore democratiche», è così che sono definiti Fide! Castro e i suoi uomini da uno dei membri del Movimiento Recuperaci6n Revolucionario che, in questa lettera, insieme ad altre domande a Jean-Paul Sartre, rivolge anche le seguenti:

È vero o no che un anno e mezzo dopo il trionfo della nostra rivoluzione è impossibile parlare di elezioni democrati-

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che, benché questa fosse una delle prime promesse fatte al popolo cubano?

Èvero o no che il cosiddetto «clemente» Castro tiene migliaia di cubani, operai, contadini, giornalisti, scrittori, industriali, commercianti, soldati e ufficiali, ribelli, nelle prigioni?

Èvero o no che i dirigenti delle organizzazioni e dei partiti politici che hanno contribuito al trionfo della Rivoluzione sono adesso perseguitati per il solo motivo che sono pro Occidente e anticomunisti e che il solo partito politico autorizzato e in essere è il Partido Socialista Popular Comunista?

Èvero o no che la Confederaci6n del Trabajo de Cuba

(Ctc), come ai tempi di Batista, è solo un'organizzazione simbolica, che il libero contratto non esiste più né per l'operaio, né per il datore di lavoro visto che in questo momento sia l'uno che l'altro si devono rivolgere al ministero del Lavoro come in molti dei paesi comunisti?

Infine, il lettore Jacques Banun, in polemica con 1.-P. Sartre e il suo reportage su Cuba, chiede ironicamente:

«Perché non facciamo raccontare a Marat la storia di Luigi XVI?».

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