
Italians_Una_giornata_nel_mondo
.pdfIl mio buio preferito
Francesco Cellini
Il buio non è tutto uguale. Dipende da dove dormi. Quello della mia casa di Milano, in via Valsugana, è un buio 2.0, di seconda generazione. Chi vive con un portatile lo conosce bene. È costellato da minuscole luci verdi e gialle, viziato da un timido chiarore download in modalità risparmio energetico. Poi c’è quello Low Cost. Si trova negli alberghi a due stelle. Davanti alla finestra della camera – chissà perché un numero dal centinaio in su, e sono solo venti stanze – c’è sempre un bar che sta aperto tutta la notte. L’insegna si spegne verso le quattro, e lascia il posto al semaforo lampeggiante, che è molto peggio. Quando torno in Toscana invece, nella casa dove sono nato, c’è il buio anni Venti. Uno schermo nero, come nei film muti, a fare da sfondo alle battute in sovrimpressione dei miei genitori. «C’è un ragazzo nel letto di Francesco?» «È Francesco.» «Sei sicura?» «Mica tanto.» «Ma tre mesi fa non aveva i capelli così corti.» «Non ricordo, prendi la foto più recente.» «Ho un’idea migliore. Guarda se ha i nei sotto il piede.» «Ho paura. E se non è lui?» «Fallo tu.» «No, tu.» «No, tu.» «Giochiamocela a briscola.» Infine, c’è il mio buio preferito. Si trova in via Binda, a casa della mia ragazza. La luce fioca che scende dai lucernari sembra un’installazione postmoderna. Occupa lo spazio fra dipinti, specchi e pareti colorate e ne assorbe i riflessi. Lo chiamo buio Arlecchino: ti accompagna alla fase rem con la sua carica di gioia. Riconoscere il buio appena si aprono gli occhi è fondamentale per chi, come me, alterna le sue notti in quattro letti diversi. Serve a rendere meno pericoloso il tragitto verso il bagno. Vedi il buio, riconosci il posto, ricostruisci il percorso che hai memorizzato, avanzi in automatico. Destra, sinistra, sinistra. Sinistra, destra, e così via. Perché nonostante tutto, c’è ancora un punto fermo nella mia vita. La pipì, che scatta puntuale alle tre di notte. Alla faccia di chi pensa che la vita moderna distrugga le abitudini.
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L’ora blu
Roberto Garcia
Se la vita avesse un colore dovrebbe essere blu. Mi piace. Né troppo scuro né troppo vivace. Elegante da indossare e sempre comodo, addirittura buono anche per le tute di meccanici e operai. In certe giornate di tramontana il blu è anche il colore del cielo, come lo è del mare nelle cartoline che ti mandano certi ostinati amici. Il blu addirittura accomuna le nazioni della Comunità Europea nella speranza che un giorno possano veramente riconoscersi in un’unica bandiera. È un colore che ti prende e può riempire la tua vita e darti grandi soddisfazioni: auto blu, completo blu... vita blu. Se la mia vita avesse un colore non sarebbe certamente il blu, ma il giallo. Come la punta delle dita della mano destra che stringono quelle circa quaranta sigarette al giorno di cui si ciba il mio ego. Come il colore dell’unica auto usata decente che ho trovato a meno di 1200 euro, oppure come la pioggia estiva che ad agosto ha sporcato i vetri dell’unica finestra del mio monolocale-magaz- zino. L’unica cosa della mia vita che mi ricorda il blu è quell’ora tra le tre e le quattro del mattino, quando sfinito dalla vodka del discount e dal bruciore del fumo nella gola, smetto di vedere il giallo e lentamente scivolo nella mia ora blu. Colore abbastanza scuro da coprire pensieri, cattivi odori e incubi che riempiono il giorno e la notte... tranne quell’ora. L’ora dell’oblio. La mia preferita.
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Escort
Fiorella Carrera
Una pugnalata nello stomaco mi ha svegliata. Guardo la radiosveglia: sono le tre e venti. Immediatamente mi alzo e piombo in bagno, ma una voce... «Ti chiami Escort, sensuale e affascinante, alta un metro e settantasette, avventuriera, millantatrice, femme fatale, vuoi venire con noi?» Che? La voce di Lucignolo? Sto sognando o sono impazzita? E poi, e poi inizio a ricordare; la porta della camera da letto era aperta, lui era nel mondo dei sogni. Come sempre il televisore era acceso e ad altissimo volume: «Salve ragazzi. Ma come chi è? Sono io, il vostro dj della notte. Allora chi la fa la bella vita? Quelli che in vacanza o quelli che... Avete sentito che voce calda e sensuale?». Guardavo quelle immagini e pensavo: “Lucignolo, ma va’, va’! Gente che balla e sballa. Bel paese dei balocchi! Donne svestite o vestite da prostitute, paparazzi, luci e musica, e io? Io sono sfinita! Mille chilometri per un po’ di riposo. Il bollino sarà rosso o nero? Casa, figli, genitori e se ci penso bene, quasi quasi m’è passata pure la voglia. Le valigie? Ma chi se ne. Dapprima fare le pulizie, altrimenti troverò una coltivazione di funghi porcini, poi annotare come funziona la lavatrice, colori dei sacchi per la raccolta differenziata, quanti misurini per il cane e quante bustine per il gatto, e poi una serie di ‘ricordati questo’, ‘attento a quello’, e ‘so che sto parlando per niente’. Lavo, stiro e faccio la spesa, poi finalmente salirò in macchina e penserò che era meglio prima, quando le vacanze erano meno vacanze, ma eravamo tutti lì, e quando sarò completamente disintossicata, eh sì, è già ora di tornare”. Lucignolo, cos’è un cambio d’identità? Ancora donna ma di dubbia moralità? Lascia stare! Sono stressata e un po’ fuori dal normale, ma se è possibile voglio rimanere tale e quale. Centro operativo 118. Ora d’arrivo: 4.20. Codice rosso: episodio sincopale con caduta a terra, trauma al capo e all’emicostato sinistro. La signora è vigile, collaborante e orientata.
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Ore 3 am: tiramisù work in progress
Silvia Lucarelli
Perché mi ritrovo alle tre del mattino, in Texas, a sbattere le uova per il tiramisù? La stanza con angolo cottura sembra un saloon: piatti, bicchieri e bottiglie vuote ovunque, sul divano argentini e spagnoli ciarlano in spagnolo, seduti per terra portoghesi, brasiliani e messicani s’intendono in inglese portognolo. Io continuo a sbattere le uova, ora con lo zucchero, domani c’è l’International Food Festival, e siccome ho deciso di fare lasagna e tiramisù, ora mi trovo a sbattere le uova, lo zucchero e il mascarpone alle tre perché ho impiegato tutto il pomeriggio a trovare qualcosa che assomigliasse alla mozzarella e alla pasta per la lasagna. Di besciamella neanche a parlarne, provatevi voi a spiegare a un texano cos’è la besciamella! Così dovrò farla io. La parte più ardua è stata trovare il mascarpone, mi hanno propinato tutta la vasta gamma di formaggi disponibili sul territorio statunitense, hanno anche avanzato l’ipotesi di sostituirlo con il Philadelphia, orrore! Poi la salvezza, Ron mi porta in un market biologico e lì, meraviglia delle meraviglie, c’erano il mascarpone, i savoiardi, il parmigiano reggiano e la salsa Mutti! Rientro a casa trionfante ma è tardi, e siccome, come al solito, la seconda cena si fa in camera mia, alle dieci orde di stranieri affamati affollano la minuscola stanza, e io mi trovo a dovermi destreggiare fra pentole di acqua che bolle, spaghetti e sugo all’amatriciana. Il bello è che non c’è un orario di chiusura della cucina, iniziano ad arrivare alle dieci e smettono all’incirca alle dodici, e ora eccomi ridotta alle tre a fare il caffè tentando di impedire ai barbari di mettere le dita nella crema al mascarpone (qui ormai da lungo tempo non vigono più le norme igieniche). La teglia è affidata al mio vicino di casa per riporla nel suo frigo perché il mio straripa di roba, e perché la prossima teglia dovrà andare nel mio. Però lo vedo un po’ malfermo sulle gambe e onde evitare inimmaginabili disastri la porto io, lui deve solo tenere tutti lontani dal frigo!
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Storia di un racconto (di duemila caratteri) mai nato
Lucio Massa
Sveglia ore 3.00. Sì, proprio tre: non 15. Da buon furbo, ho scelto il periodo con meno concorrenti: chi può avere qualcosa da raccontare tra le tre e le quattro? Be’, qualcuno sveglio ci sarà pure, ma gli operai dei turni di notte dove trovano tempo e voglia di scrivere? E poi, prostitute, lenoni e delinquenti non dovrebbero appartenere a categorie inclini a velleitarie pratiche letterarie. Il tempo trascorre più inesorabile di un giudizio del Severgnini: sono già le 3.12. Non avevo considerato che mia moglie si sarebbe svegliata mitragliando possibili cause di quella che ritiene la mia insonnia: Poverinolapastaepatatecaldatihafattoilsolitoeffetto? Checèamoreseipreoccupatoperlapressioneanovantacinque? Blocco il treno prima che deragli e cerco di spiegarle dell’iniziativa del «Corriere» e dell’idea di raccontare un’ora della mia vita in real time... cioè contestualmente... uffà, in diretta! Finalmente il termine «in diretta», presumo per la sua matrice televisiva, la soddisfa e sembra decidersi a tornare a letto, non prima di avermi lanciato il suo sguardo preferito della serie «unpocoglioneloseisemprestatomaconl’etàstaidavveropeggiorando». Finalmente soli! Io e il mio racconto da 2000 caratteri. A proposito ma quanti sono 2000 caratteri? Si contano anche i caratteri di punteggiatura? Porca miseria, e io che ho messo un mare di puntini sospensivi... sì, bravo, continua coi puntini, sei proprio un idiota. Quanti caratteri avrò già scritto? Sarà meglio controllare... Gulp, sono già 1285 e si sono fatte le 3.34. Sto sprecando caratteri e tempo: 34, anzi, 35 minuti e 1400 caratteri senza neanche iniziare! Ci mancava solo il ritorno di mia moglie: «Invece di scrivere lettere in “rialtaim” al tuo amico Severgnini, hai provato a guardare dalla finestra? Che succede in strada? La strada? Ma quale strada? È il quartiere, la città, la nazione! Tutte le luci accese, tutti gli Italians che digitano il loro racconto tra le tre e le quattro! Maled... non mi restano nemmeno i caratteri per fin
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La consapevolezza
Romano Faenza
Mi sveglio di soprassalto, è domenica. Guardo l’orologio, sono le tre di mattina e... mia figlia... non mi ha avvertito... quindi... ancora non è rientrata. Guardo accanto a me, il posto è vuoto, com’è ormai da quattro anni, lo accarezzo. Mi alzo, la cucina è fredda come il posto di mia moglie, la finestra era aperta. Che faccio? Le telefono?... Se le telefono domani dovrò sorbirmi i silenzi... le risposte acide (se risponderà)... gli sguardi di commiserazione. Come si fa a vivere con quell’atmosfera in casa? Meglio di no. Esco sul balcone, è gelato qui fuori, guardo giù verso il portone... oddio! Ci sono dei ragazzi. Saranno i soliti drogati? Se torna adesso, la importuneranno... Devo scendere, sì scendo. Mi vesto... i pantaloni sopra al pigiama... devo fare presto... se arriva adesso, o mamma mia... il maglione, presto il maglione. Esco, sto per chiudere la porta. Mi guardo i piedi, sono in ciabatte... non importa. Mi accosto all’a- scensore, spingo il pulsante di chiamata... troppo lento, decido di scendere le scale. Faccio gli scalini a due a due. L’ultima rampa...
vedo il portone che è di ferro e vetro. Di fuori ci sono i ragazzi, sono seduti sul muricciolo che è davanti all’ingresso. Mia figlia non c’è, non è arrivata nel frattempo... meno male. Starò qui ad aspettarla. Sì, mi siedo sugli ultimi gradini delle scale... e aspetto. Ha diciotto anni mia figlia... è una bambina non sa ancora come va il mondo. Io ne ho cinquantotto e ne ho viste di cose... ma lei che ne sa. Se ci fosse stata ancora Anna... mia moglie, lei avrebbe saputo come parlarle, come portarla alla ragione, ma io non ci riesco, non mi ascolta e poi rivedo in lei sua madre e non so dirle di no. Che ore sono ora... le tre e venticinque. Si stanno spostando, sono usciti dalla visuale che ho da qui, mi alzo... devo controllare. Apro il portone, sono più in là, si voltano e mi guardano, mi giro dall’altra parte, come se stessi cercando qualcosa. Si riconcentrano a fare quello che stavano facendo... cosa facevano? Hanno dei lacci in
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mano... sono lacci emostatici... ecco, come pensavo. Mia figlia deve ritornare proprio da quella parte. Vado più in là, mi metto prima di loro... Gli passo vicino, guardo, mi chiedono: «Che guardi? Vecchio», proseguo senza rispondere, mi metto all’angolo con l’altra via. Aspetto, osservo la strada da una parte e dall’altra... non c’è nessuno... non arriva ancora. Sento qualcuno che mi bussa sulla spalla, mi giro, uno di quei ragazzi mi dice qualcosa e mi dà due pugni in pancia... urlo... cado supino... sento lo scalpiccio di passi che si allontanano. Gli occhi vanno in alto... dal mio balcone, mia figlia è affacciata... in pigiama, e mi guarda.

Ore 04