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Italians_Una_giornata_nel_mondo

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Ore 02

Bolle di sapone

Camilla Pisani

Buio e silenzio, sola... in casa e nell’animo... come sempre ultimamente. Rileggo vecchi messaggi, appunto frasi sull’agenda, riguardo foto appese ai muri che sembrano di un mondo così lontano...

come sottofondo una vecchia canzone malinconica, «Where are you and I’m so sorry, I cannot sleep, I cannot dream tonight...», una lacrima mi solca il viso. È tardi, ma non riesco a dormire, la testa mi urla... pensieri e pensieri mi invadono la mente e non riesco a darne un ordine logico; forse non voglio, ma mi aiuterebbe a capire, a capirmi. Non avrei mai pensato a tutto questo; sognavo e desideravo tutt’altro, e ora... È stato un bel tempo, il nostro tempo... abbiamo dato vita a bolle di sapone che hanno volato alto: una per i sorrisi fatti insieme, una per i momenti bui, una per la gelosia immotivata... una bolla per le onde del mare e la sabbia fine, una per le cene in compagnia e un’altra per le serate soli, Io e Te, quando la compagnia era di troppo; una bolla di sapone che contenesse le canzoni stonate e gli sguardi allo specchio, una per la passione che ci ha sempre accompagnato; abbiamo fatto volare la bolla dei progetti, entrambi ambiziosi e desiderosi di arrivare a un obiettivo importante, bolle di felicità, di ubriachezza, di partite di pallone, di film; bolle di litigi, ore in macchina, feste, fotografie, lunghe attese e silenzi. Bolle attraverso le quali abbiamo visto un futuro insieme; bolle tanto speranzose e colme di desiderio quanto fragili e delicate. Molte di queste sono scoppiate, forse hanno volato troppo in alto, senza essere ancora pronte per farlo o si sono spinte lontane senza dubbi, che sono sorti con il tempo... alcune pensavano di aver già chiaro il proprio destino e si sono ritrovate perse o semplicemente bisognose di altri cieli, di altre correnti, di altri sogni da racchiudere. Altre, invece, volano ancora tranquille nel nostro cielo, tra le stelle; bolle che non scoppieranno mai, non permetterò a niente e a nessuno che lo facciano. Non so che ne sarà delle altre bolle ormai

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perse, non lo so, forse un giorno riusciranno a ricomporsi e a volare di nuovo in alto, sopra le nostre teste, sopra i nostri sguardi. Non so cosa accadrà, ma non voglio che, in nessun modo, la mia bolla di sapone si allontani per sempre dalla tua. Pensieri e pensieri... un’altra ora è volata via... un’altra notte... sola.

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Il nostro amore notturno

Gianluca Festa

Un occhio chiuso, l’altro semiaperto. È già la seconda volta: diamine! Questa notte non ha pace. Un lamento che parte da lontano, si insinua nel sogno che stavo creando e prende forma in un personaggio, che mi schiaffeggia. Qualche secondo e anche Sara si alza. Lei ha un passo spedito e le palpebre giù: entrambe. Rodati da tre anni d’esperienza corre verso la cameretta, io verso la cucina. Il latte è al solito posto, i biscotti pure, il microonde è già aperto. La calda luce della cappa sembra fortissima. I miei capelli spettinati sono, per una volta, perfetti nel contesto. Ho freddo. I tre squilli del forno mi svegliano un po’ di più. Inserisco biscotti: uno due e tre. Li spezzo, così si sciolgono prima. Sbatto forte e deciso per qualche secondo dirigendomi verso di loro. Il principe beve, dormendo, in una dolce parentesi nel caldo abbraccio di una mamma. Noi, immobili e vicini, con gli occhi chiusi. Si fa strada un pizzico di paura, solo per un attimo: «... e se si svegliasse così tanto anche lui?». Sara mi guarda (o almeno credo): si riferisce al bimbo che nascerà a marzo. Le rispondo che a tutto ci si abitua. A tutto. Ne siamo la prova vivente: andrà bene. Finisce il latte ed è adagiato di nuovo nel suo letto. Lo guardo un secondo, un solo attimo prima di tornare nel buio: è più forte di me. Ho una domanda: continuerò a perdonargli tutto per il resto della vita? Temo una risposta che non gli dirò mai. È puro amore. Rido fra me e torno nel letto. Forse non me lo ricorderò, o forse sì. Sara già dorme, io non più. Leggo una pagina di cui non ricorderò nulla. Mi giro da una parte, ora dall’altra. Non ho molto tempo, ma una strana sensazione che parte dalla felicità, passa dalla fierezza e arriva nella camera adiacente alla mia. Fra due ore circa prenderò altri schiaffi da un personaggio immaginario. Ma va bene, benissimo così. Anzi, fra cinque mesi, amore mio che hai un altro amore nella pancia, andrà ancora meglio.

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Il sole prima dell’alba

Fausto Nicastro

C’era il sole stanotte. C’eri tu. Forse sono fortunato perché mi sono beccato solo quindici anni. Quindici anni di attesa, di vuoto, di abbandono. L’ultimo giorno ho capito che non vedevo l’ora che si sciogliessero quelle maledette sbarre, che evaporassero quelle carogne in divisa, che sparissero quei cani in gabbia come me. L’ultimo giorno prevale l’ironia, la rabbia repressa si trasforma in elettricità che risale dallo stomaco e ti frigge il cervello. Quei bastardi sono peggio di me. Sono le due e mezzo, manca poco. Ora ho un ricordo in più, non importa se è solo un sogno, sei reale, mi stai cambiando adesso. Non sento il bisogno di sfogarmi, non ho più bisogni, non sono più un uomo da parecchio tempo. Mi è bastato rivederti, proprio stanotte, anche se non sono riuscito a prenderti, a baciarti. Guardarti mentre sai che ti guardo, innocente e maliziosa insieme, riesci a essere tutto ciò che voglio. Come quando eri seduta in giardino e io ero fuori a spiarti furtivo e ingenuo. La vendetta non serve a niente, ti rovina solo la vita, ma ti appaga. Ti appaga, ti annulla, sei finito. Finisci in galera, ma già sei morto quando decidi di diventare bestia. Questa è una storia di morti, chi ancora cammina e chi no. Tutte quelle cazzate moraliste sulla violenza che non vince la violenza, tutte le riflessioni per cercare di non cancellare la dignità della tua morte, la coscienza della mia fine quando ho premuto il grilletto. Non vedo l’ora di guardarli, mentre ammazzano il loro manichino di turno. Forse tratterrò pure una risatina, forse è proprio in quel momento che avrò un bagliore di vita negli occhi dopo quindici anni. Questa non è giustizia per nessuno, non l’hai avuta tu quando ti hanno uccisa, non l’ho avuta io quando ho ucciso, non l’avranno loro quando uccideranno. Sono solo punizioni reciproche. Non vedo l’ora di tornare vivo, libero dalla schiavitù della natura umana. Grazie per avermi dato il sole prima di quest’alba, senza l’ombra delle sbarre.

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lion 13

Edoardo D’Orsi

undici febbraio. san paolo del brasile. inizio ad avere un po’ nostalgia di casa. siamo via dal ventiquattro di dicembre e qui nella torre lion l’atmosfera è assolutamente artificiale. l’appartamento in albergo con poche cose necessarie a cucinare e passare la giornata. due mensole con qualche libro e giocattoli sparsi sul pavimento. due camere da letto molto piccole con due cassetti a testa. il mio comodino è la moquette e ho la borsa dei tesori nascosta nell’armadio. questa atmosfera di provvisorietà la sentiamo tutti e quattro. fa freddo e mentre i bambini giocano in piscina, con gli altri genitori adottivi conversiamo in felpa e pantaloni corti cercando di scaldarci con una caipirina in un clima tropicale che proprio non ci aspettavamo. accogliamo chi arriva e salutiamo chi parte. ci passiamo le borse con le cose abbandonate e una moka lasciata di stecca è un regalo inaspettato. le notti insonni non le conto più e passo il tempo guardando i simpson sottotitolati in portoghese a volume zero, mentre mentalmente faccio la lista delle cose da buttare. quello che rimane dovrà trovare posto in valigia. di giorno ogni cinque minuti un aereo vira sopra le nostre teste in direzione dell’oceano. cerco di non perderne nemmeno uno. di notte i grilli si alternano allo scoppio dei temporali. dalla piscina guardo i riflessi del sole sulle fusoliere bianche e rosse. dal tredicesimo piano guardo il giardino al dodicesimo del grattacielo di fronte. dal tredicesimo piano guardo le luci di posizione di tutti i grattacieli che ci circondano. ora ho sonno e me ne vado a nanna. buonanotte

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E gli rido in faccia

Elisa Ciabattini

Finalmente io e il silenzio. Soli soletti, a farci compagnia. Puntuali, immobili, perfetti. Mano nella mano per un pugno di minuti. Poi un miagolio lontano. Forse è un gatto. Forse è un bimbo. Forse una madre stanca lo ninna veloce. Qualcuno sale le scale. Qualcuno le scende. Un cane abbaia. Dalla strada un litigio in corso. Lui ha tradito lei. Lei ha tradito lui. Interessante. Tendo le orecchie. Abbassano il volume. Niente. Non mi riesce origliare oltre. Irritante la loro discrezione improvvisa. Mi decido per una capatina in chat. Un saluto a questo. Un saluto a quello. «Tuttoesubito» vorrebbe conoscermi. Meglio chiudere. Un salto in cucina a coccolarmi. Un morso di pizza. Tanto è light. Un trancio di torta. Tanto è light. Se scuoto due o tre volte braccia e gambe smaltisco tutto. Fatto. Calorie sterminate. Peccato evaporato. M’infilo il tubino nuovo. C’abbino scarpe, camicia e rossetto. Mi scruto allo specchio. Provo a sbattere le ciglia. Perfetta. Al colloquio farò faville. Buona idea il bigodino sotto al ciuffo. Che per la mattina rientri nei ranghi. Poi una ripassata allo smalto. Intanto che s’asciuga un po’ di zapping. La replica del Tg. Un vecchio film a metà. La ricetta dell’anatra all’arancia. Una cartomante promette fortuna. Controllo il meteo. Tempo variabile. Capito tutto. Ombrello in borsa. M’accorgo di Popo finito a terra. Lo riaggiusto vicino a Popa. Il papero accanto alla papera. Bella coppia. Da sempre insieme. Un vero amore il loro. Buttato in un angolo, un cruciverba. Lì fermo da sere. Sette verticale. Un rompicapo. Dodici caselle. Nessuna voglia di riempirle. Sul comodino una pila di libri, appunti, bollette. Ma sono quasi le tre. Non ora le cose serie. Non ora. M’insacco dentro al letto. Annacquata, felice, moribonda. Nella testa una canzonetta. Friggono i vetri. Tonfa il vento. C’è pioggia là fuori. M’abbraccio forte. Poi fisso questo buio che cava gli occhi. E gli rido in faccia: un altro pezzo di giorno rubato alla notte.

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Addormentarsi con gusto

Stefano Frambi

Riapro gli occhi. Forse non li ho mai chiusi o non li ho ancora aperti nel buio di questa notte così lunga da attraversare. Cerco di mettere a fuoco le cifre rosse sulla sveglia, sono miope e ancora mi domando perché ho messo quel maledetto orologio così lontano. Ci saranno sì e no cinque passi tra me e la scrivania, ma per uno che non è ancora riuscito a dormire un solo secondo sono come trecento metri. Mi devo alzare, mi muovo a memoria nel buio della stanza, mi avvicino all’orologio e scopro che sono le 2.02. Fantastico, sono a letto da tre ore e non ho ancora preso sonno. Odio ammetterlo: soffro di insonnia, vado a letto e i pensieri si affollano nella mente. Ormai sono in piedi, me ne vado in cucina ma non voglio farmi del male prendendo tranquillanti chimici o intrugli omeopatici. Voglio provare ad addormentarmi con gusto. Prendo un calice di cristallo, la bottiglia di Ormeasco invecchiato in barrique comprato l’estate scorsa in una cooperativa agricola ligure e un buon libro. Uno dei tanti che sto divorando in questo periodo. L’ho comprato d’istinto e come sempre si sta dimostrando un’ottima scelta. Il mio istinto, troppo spesso fallibile, quando si tratta di libri non sbaglia un colpo. In ogni libreria in cui entro basta poco, uno sguardo alla copertina, sfoglio le pagine, ascolto il loro suono, annuso l’inconfondibile odore della carta stampata, leggo qualche riga e decido. E ora eccomi qui, con la luce soffusa della Tolomeo a farmi compagnia mentre leggo seduto sul divano. Chissà se finirà anche oggi come spesso è accaduto negli ultimi mesi. Il sonno mi prenderà all’improvviso facendomi ritrovare tra qualche ora con il libro chiuso al mio fianco, la luce spenta e una coperta appoggiata sulle gambe da una mamma preoccupata per un figlio pieno di dubbi ma con tanti sogni.

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Sberleffo

Felicio Manzo

Sono le due di notte. Non riesco a dormire. Un senso di angoscia quasi di morte. Resisto un’interminabile mezz’ora, poi vado nello studio e, forse per esorcizzarla, mi siedo al pc e mi rivolgo direttamente a lei: la morte. «La bellezza la gioia le passioni il sogno sono i tuoi immortali nemici perché di essi è impregnata la vita contro cui riversi il tuo odio eterno. Le tue armi sono il terrore l’inganno il sopruso l’ingiustizia: con essi colpisci blandisci distruggi; sono tuoi alleati la miseria l’odio fra gli uomini le malattie. Ti ho visto tante volte in azione: ne sono rimasto annichilito perché sei vile, proditoria, fulminea e puoi nasconderti nel profumo d’una rosa, in un raggio di sole, nel sorriso di un bimbo. Ma, soprattutto, nell’amore. Perché sai bene che esso rende, sì, l’uomo più forte, ma anche più vulnerabile, e allora il tuo sadismo s’accanisce nel distruggergli proprio quelle speranze, quelle gioie, quei sogni, essenza portante del- l’amore e della vita. Tanto più vivi quanto più acerbi sono gli anni: di padri e madri di creature indifese, di giovani sposi già immersi nelle dolcezze del domani, di ragazzi pronti alle battaglie della vita, per non dire di bimbi cui verrà negata finanche la paura del buio. E ora punta pure le tue lugubri orbite cave nei miei occhi: vi coglierai un lampo di gioia assieme a un’opaca smorfia di disprezzo. La gioia: perché anche se la tua morsa soffocante dovesse annientarmi in quest’istante, non potrai più rubarmi l’amore di una donna meravigliosa, lo splendido sorriso delle creature che il mondo mi invidia. E poi un irridente disprezzo per te che puoi esistere solo distruggendo gli ideali e i sogni più belli dell’uomo. Ma sappi che potrai continuare a svolgere la tua opera infame solo fino a quando sulla terra rimarrà l’ultimo uomo. Ma in quel momento la mia anima, con il tesoro intatto dei suoi sogni realizzati, starà ancora vivendo, e continuerà a vivere in eterno protetta dalla clemenza di Dio, mentre in quello stesso istante e per sempre tu morirai, o morte.»

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