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Nomi che odiano le donne

Il disprezzo nei confronti delle donne può insinuarsi in modo subdolo dentro alle parole. Per esempio, in alcune di quelle che terminano in -essa. Questo suffisso, in sé, è innocente: aggiungendolo alla base maschile si sono create parole come campionessa, dottoressa, professoressa, studentessa e molte altre. Ma in certi casi quel segmento di parola è impregnato di malizia. Se l’avvocata viene chiamata avvocatessa, la deputata deputatessa e la vigile vigilessa, a quelle parole viene aggiunta una sfumatura ironica o peggiorativa, un sarcasmo col quale si vuole screditare la donna che svolge quella professione proprio perché è una donna. In epoche nelle quali non era neppure immaginabile che una donna potesse esercitare la professione di avvocato o di medico, termini come avvocatessa e medichessa potevano essere usati con tono dichiaratamente ironico. E, fino a pochi decenni or sono, le donne che pretendevano di dire la loro e di ragionare con la propria testa erano definite filosofesse, non filosofe.

Singolari e plurali Un belga, anzi due

In una scenetta di parecchi anni fa Cochi e Renato, nel momento in cui dovevano formare il plurale di belga rimanevano in dubbio, e si toglievano spiritosamente dall’impaccio dicendo un belga... anzi due. La difficoltà nel formare quel plurale nasceva dal fatto che i nomi in -ca e in -ga (per esempio: monarca, stratega, basilica e bottega) formano tutti il plurale in -chi e -ghi se sono maschili (monarchi e strateghi), in -che e in -ghe se sono femminili (basiliche e botteghe). Belga rappresenta l’unica eccezione a questa regola, e ha come plurale belgi, probabilmente per influenza del nome della nazione, Belgio, e del nome francese degli abitanti, Beiges. Per quanto riguarda il femminile, il plurale è regolarmente belghe.

Non sono solo i poveri belgi, comunque, a metterci in difficoltà. Anche altre parole sembrano fatte apposta per procurarci guai quando dobbiamo farne il plurale.

I nomi e gli aggettivi in -cia e -gia al plurale possono mantenere o perdere la i. Per ricordare in quali casi la i si mantiene e in quali si perde, basta fare attenzione a un particolare: se la c e la g sono precedute da una vocale (camicia, fiducia, ciliegia), allora la i si mantiene nel plurale (camicie, fiducie, ciliegie); se invece la c e la g sono precedute da una consonante (pancia, pronuncia, pioggia), allora la i si elimina (pance, pronunce, piogge).

Per questo motivo, perdono la i anche i nomi che finiscono in -scia (angoscia —> angosce; striscia —> strisce).

Occorre ricordare, però, che ormai, nell’italiano attuale, accanto ai plurali tradizionalmente considerati corretti, sono usate e largamente accettate anche forme come ciliege, valige e provincie, che sembrano contravvenire alle indicazioni pratiche che abbiamo appena dato.

I nomi in -logo e -fago spesso presentano un doppio plurale:

Singolare

Plurale

l’antropofago

gli antropofagi / gli antropofaghi

l’antropologo

gli antropologi / gli antropologhi

l’archeologo

gli archeologi / gli archeologhi

lo psicologo

gli psicologi / gli psicologhi

il sociologo

i sociologi / i sociologhi

Ma consideriamo anche i seguenti nomi, che hanno un solo plurale:

Singolare

Plurale

il catalogo

i cataloghi

il decalogo

í decaloghi

il dialogo

i dialoghi

il monologo

i monologhi

il prologo

i prologhi

Anche in questo caso non esiste una regola teorica, ma solo un’indicazione pratica a cui attenersi: i nomi che indicano persone tendono ad avere il plurale in -gi, mentre i nomi che indicano cose tendono ad avere il plurale in -ghi. Fanno eccezione esofago e sarcofago, che hanno come plurale esofagi e sarcofagi (ma scrivere esofaghi e sarcofaghi non è sbagliato: è solo meno comune).

Anche alcuni nomi in -co e in -go possono avere un doppio plurale:

Singolare

Plurale

il chirurgo

i chirurghi / i chirurgi

il farmaco

i farmaci / i farmachi

il manico

i manici / i manichi

Attenzione ad asparago, che al plurale fa asparagi.

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