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Malattie

Le parole del linguaggio medico che terminano in -ma sono di genere maschile. Come quasi tutti i termini medici, coma, edema, enfisema, enzima, eritema, glaucoma, plasma e altre parole simili derivano dal greco. In questa lingua esse non erano né maschili né femminili, ma appartenevano al genere neutro, in cui rientravano molti termini sessualmente non connotati. L’italiano, che non ha mai avuto il neutro, generalmente ha trasformato in maschili le parole appartenenti a questo terzo genere: ecco perché dobbiamo dire e scrivere coma profondo, edema nervoso, plasma sanguigno. Anche asma fa parte di questo gruppo, sicché a rigore dovrebbe essere usato solo al maschile. Ma l’abitudine di adoperarlo al femminile è talmente diffusa che non può più essere considerata un errore: dove arriva l’uso, la grammatica si ferma. Sicché, che abbiate un asma allergico o che abbiate un’asma allergica, per i linguisti è lo stesso: l’importante è che lo (o la) curiate. Da curare, naturalmente, anche il diabete, che però, a differenza dell’asma, rimane saldamente ancorato al genere maschile, proprio come il termine greco antico da cui deriva, che è diabétes. Questa parola, a sua volta, derivava dal verbo diabàinein, che significava «passare attraverso», con probabile allusione al frequente passaggio di urina provocato dalla malattia.

Vini

Si dice: il Barbera, il Marsala o la Barbera, la Marsala?. Normalmente, i nomi dei vini sono maschili, anche quando hanno un’uscita femminile data dal nome del luogo di provenienza: non solo l’Aglianico, il Barbaresco, l’Amarone, ma anche il Gattinara, il Sassicaia, il Ribolla. Sono maschili anche i nomi di vini uscenti in -e, in -i e in consonante: il Sangiovese, il Chianti, il Gavi e il Riesling. Fanno eccezione la Malvasìa e la Vernaccia. Per Barbera, Freisa e Marsala l’uso è oscillante: c’è chi li assapora al maschile, chi li trinca al femminile e chi, democraticamente, non fa differenze. Noi, sobri ancora per qualche minuto, abbiamo il tempo per consigliarvene l’uso al maschile, a temperatura ambiente: il Barbera, il Freisa, il Marsala.

Acme e acne

La parola acme (cioè «fase culminante») è maschile o femminile? É femminile, proprio come il termine da cui deriva: akmé, che in greco antico ha avuto prima il significato di «punta» e poi quello di «fase culminante di una malattia». L’abitudine - diffusa da qualche tempo, ma sbagliata - di considerare acme maschile si spiega col fatto che questa non è una parola di uso comune; inoltre, la -e con cui termina è un’uscita ambigua, diversa da -a (che normalmente individua il femminile) e da -o (che normalmente individua il maschile). A ogni modo, se leggiamo o sentiamo parlare di un acme tragico anziché tragica, o del fatto che «il tale fenomeno ha avuto il suo acme» piuttosto che la sua acme, consoliamoci, perché anche i nostri cugini francesi fanno confusione, e adoperano la parola acmé (che anche in francese è femminile) come se fosse un maschile.

E veniamo all’acne, che irrita non solo il corpo, ma anche la mente. È una parola maschile o femminile? È femminile, e deriva anche lei, come acme, da akmé, che, dal significato originario di «punta», nel greco tardo passò a indicare le macchie e i brufoli che si formano sul viso nell’età dell’adolescenza. Quando, nel Medioevo, gli amanuensi copiarono gli antichi codici di medicina, trascrissero male la parola: così la m perse una stanghetta, e l’acme si trasformò in acne.

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