
Incremento della produzione
I promotori del nucleare sostengono che sia possibile aumentare in maniera relativamente rapida il numero di centrali: in media la costruzione di reattori di ultima generazione dura dai tre ai quattro anni[senza fonte]; secondo altri invece ne servono non meno di cinque[senza fonte], e in ogni caso è molto di più di quanto serva per costruire ad esempio una centrale elettrica a metano (uno o due anni). I soli costi di costruzione, che ammontano ad almeno due miliardi di dollari per centrale[senza fonte], abbinati al lungo tempo necessario, rendono in ogni caso molto difficile incrementare sensibilmente la produzione di elettricità da nucleare in breve termine: raddoppiare la produzione statunitense come molti sostengono che si debba fare costerebbe un migliaio di miliardi di dollari[45].
Alcuni sostenitori del nucleare contestano le obiezioni sulla base delle caratteristiche delle future centrali a fusione termonucleare: il progetto relativo (ITER) però punta a giungere a un prototipo solo nel 2030 e a una centrale commerciale per il 2050, anche se la data di possibile utilizzo della fusione termonucleare per la produzione di energia elettrica viene rinviata da decenni), perciò appare irrealistico considerarle all'interno di una politica energetica nazionale per i prossimi decenni.
Produzione centralizzata e generazione distribuita
Poiché le centrali nucleari dispongono normalmente di una potenza più alta rispetto ad altri tipi di centrale elettrica (se ne possono naturalmente costruire anche di piccola "taglia" ma, per questioni di economia di scala, si predilige quasi sempre realizzare grossi impianti[46]), questo metodo di elettrogenerazione è quello che accentua maggiormente la concentrazione della produzione.
Secondo alcuni pensatori[non chiaro] l'attuale modello di produzione energetica centralizzata rende innanzitutto necessari grandi investimenti per la costruzione e manutenzione delle reti di distribuzione e in secondo luogo creerebbe un forte potere di controllo da parte di pochi produttori sulla sicurezza e continuità di approvvigionamento energetico delle utenze.
A fronte di ciò, tali pensatori[non chiaro] credono che l'unico modo per scongiurare questo pericolo sia quello di distribuire capillarmente la produzione (e la crescita del prezzo dei combustibili fossili sarebbe l'occasione propizia per adottare questo nuovo modello[47]) sparpagliando per tutto il territorio piccoli impianti di produzione vicini ai consumatori, cosa resa possibile grazie allo sviluppo delle conoscenze tecnologiche in merito alle fonti rinnovabili (e ai reattori nucleari di tipo pebble bed) che sono quelle che più si prestano a uno sviluppo in funzione dell'obiettivo di cui sopra.[senza fonte]
In realtà, ad un attento esame dei fatti, la situazione si rivelerebbe diametralmente opposta[senza fonte] visto che:
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in un mercato energetico liberalizzato, con la produzione centralizzata e la distribuzione a distanza è possibile per l'utenza scegliere di volta in volta il fornitore che garantisce il miglior servizio mentre il piccolo impianto, in un logica di produzione distribuita, sarebbe inevitabilmente il monopolista locale[non chiaro];
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con la produzione centralizzata si possono avere economie di scala, con la produzione distribuita no;
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le fonti rinnovabili da sole possono soddisfare solo una minima parte del fabbisogno energetico[non chiaro] e quindi la maggior parte della produzione distribuita avverrebbe utilizzando le fonti fossili[senza fonte];
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maggiore è il numero di impianti, più alto è l'inquinamento che essi complessivamente producono.
Lungi dall'essere dunque la panacea da alcuni[non chiaro] auspicata, la produzione distribuita finirebbe in sostanza solo per far aumentare il prezzo dell'energia, diminuire la qualità del servizio e accrescere l'inquinamento.[senza fonte]
Questioni ambientali
Considerazioni generali
Le preoccupazioni principali dovute all'uso di energia nucleare per la produzione di elettricità riguardano l'impatto sull'ambiente e la sicurezza delle persone.
Alcuni incidenti nucleari hanno provocato una contaminazione radioattiva. Il più grave incidente, il disastro di Černobyl', ha ucciso delle persone, provocato feriti e danneggiato e reso inutilizzabili per decenni grandi estensioni di terra. Si teme che possano ripetersi altri incidenti simili, come accaduto recentemente in Giappone con il Disastro di Fukushima Daiichi.
Altre critiche riguardano i rischi di contaminazione radioattiva nelle fasi di estrazione, arricchimento, smaltimento e deposito a lungo termine di combustibile nucleare esaurito. Incidenti in questi settori sono molto meno noti, ma non rari e annoverano alcuni dei più gravi incidenti avvenuti dal secondo dopoguerra a oggi (Windscale/Sellafield, Tricastin ecc.)[senza fonte]. Il rispetto rigoroso del principio di precauzione suggerirebbe di prendere in considerazione solo quelle tecnologie che dimostrino di non causare un danno significativo alla salute dei viventi o della biosfera.
Un altro problema è l'elevata quantità di acqua necessaria per il raffreddamento e l'immissione delle acque calde nei sistemi idrici: ciò in alcuni ecosistemi può causare pericoli per la salute delle forme di vita acquatica, come per talune specie di pesci già a rischio di estinzione. Tali difficoltà possono essere notevolmente ridotte usando torri di raffreddamento, che di solito sono collocate in quei luoghi dove si ritiene inaccettabile un riscaldamento eccessivo delle acque o vi è scarsità di acqua per refrigerare il condensatore della centrale, oppure costruendo le centrali vicino al mare dove la disponibilità di acqua è quasi sempre assicurata.
Tale problematica accomuna solo parzialmente gli impianti nucleari a quelli termoelettrici. Da un lato il rendimento termodinamico di una centrale nucleare è nettamente più basso di quello di un moderno impianto termoelettrico (30-35% contro 60%), e pertanto a parità di elettricità prodotta gli scarichi termici sono circa doppi. Dall'altra una centrale termoelettrica può, per tipologia e collocazione geografica, essere allacciata a reti di teleriscaldamento (cogenerazione), recuperando così una ulteriore quota di calore anziché disperderlo in ambiente. Tali applicazioni non sono praticamente attuabili per gli impianti nucleari.
Emissioni atmosferiche e gas serra
Le centrali nucleari, malgrado non abbiano emissioni di fumi di combustione come le comuni centrali termoelettriche, rilasciano in atmosfera dosi di radioattività sotto forma di scarichi sia liquidi che gassosi: in particolare trizio, isotopi del cesio, del cobalto, del ferro, del radio e dello stronzio; tali emissioni perdurano anche a distanza di decenni dalla chiusura degli impianti in quantità che vanno dalle migliaia alle centinaia di milioni di becquerel)[48]. Vi sono inoltre emissioni di grandi quantità di vapore acqueo proveniente dalle torri di raffreddamento (presenti solo in alcuni impianti).
Recentemente c'è stato un rinnovato interesse per l'energia nucleare come soluzione alla diminuzione delle riserve di petrolio e perché l'energia nucleare genera pochi gas serra (nelle fasi di estrazione, preparazione e trasporto del combustibile nucleare e costruzione, mantenimento e dismissione degli impianti), contrariamente alle alternative più comuni quale il carbone: si è discusso dell'energia nucleare come soluzione all'effetto serra[49]). In base a ciò l'Unione europea ha recentemente definito il nucleare come uno strumento importante per la lotta contro il riscaldamento climatico[50]. Questa affermazione è contestata da molte organizzazioni ambientaliste[51].
I reattori nucleari non emettono direttamente gas serra durante le operazioni normali; tuttavia, l'estrazione mineraria e il trattamento dell'uranio generano delle emissioni non trascurabili.[52] Secondo l'associazione delle industrie del settore nucleare (WNA), le emissioni prodotte nell'intero ciclo di vita sarebbero paragonabili a quelle dell'energia eolica o idroelettrica, ma molto più basse rispetto al fotovoltaico[53]. Comunque, un tema controverso è che le emissioni di gas serra dovute all'estrazione mineraria, alla lavorazione e all'arricchimento potrebbero essere molto maggiori in futuro mentre le riserve mondiali di uranio di prima qualità andranno via via esaurendosi e si userà sempre più uranio di bassa qualità.
In un documento del 2000 commissionato dal gruppo verde al Parlamento Europeo intitolato Is Nuclear Power Sustainable? («L'energia nucleare è sostenibile?») e nel documento successivo del maggio 2002 initolato Can Nuclear Power Provide Energy for the Future; would it solve the CO2-emission problem? («L'energia nucleare può fornire energia per il futuro? Risolverebbe il problema delle emissioni di CO2?»), Jan Willem Storm van Leeuwen e Philip Smith hanno sostenuto che il costo dell'energia nucleare alla fine supererà quello dei combustibili fossili nelle emissioni di gas serra man mano che scarseggerà il minerale uranifero di alta qualità. I due hanno messo in dubbio la sua sostenibilità all'interno di un piano di tutela ambientale. Questo documento è stato liquidato come falso dalle industrie del settore nucleare poiché i risultati pubblicati sull'estrazione del minerale mostrano un vantaggio del 99% della generazione di energia nucleare nei confronti dei combustibili fossili sul versante delle emissioni di CO2. Gli autori hanno attenuato molto le affermazioni contenute nel loro documento e l'hanno ri-pubblicato nel 2005, omettendo la maggior parte dei valori numerici usati, ma le affermazioni rimanenti sono ancora contraddette da alcuni studi sul ciclo di vita (ad esempio Vattenfall). Tutto ciò mette fortemente in dubbio l'articolo le cui previsioni si pensa siano sbagliate perché si basano su elementi smentiti dai dati attuali, talvolta di 3:1. Va fatto notare che le affermazioni del settore si basano sul minerale di alta qualità attualmente disponibile, mentre quelle di Storm van Leeuwen e Smith si fondano sulle loro proiezioni delle qualità di minerale disponibili in futuro.[senza fonte]
La Germania ha affiancato all'abbandono dell'energia nucleare lo sviluppo dell'energia rinnovabile e intende aumentare l'efficienza delle centrali elettriche fossili per ridurre la dipendenza dal carbone. Secondo il ministro tedesco Jürgen Trittin nel 2020 questo diminuirà le emissioni di anidride carbonica del 40% rispetto ai livelli del 1990. La Germania è diventata un paese modello per gli sforzi compiuti per rispettare il protocollo di Kyōto. Fra l'altro la Germania ha conseguito ottimi risultati in materia di risparmio energetico, grazie agli sforzi compiuti a partire dalla crisi energetica degli anni settanta. I critici della politica tedesca ritengono una contraddizione l'abbandono dell'energia nucleare a favore dell'energia rinnovabile, dato che entrambe hanno emissioni molto basse di CO2.
Tutti gli altri prodotti di scarto delle centrali nucleari vengono raccolti e depositati in isolamento, a differenza delle altre fonti energetiche come il petrolio ed il carbone i cui residui inquinanti sono immessi direttamente nell'ambiente circostante. Senza centrali nucleari, se fossero costretti a sostituirle con centrali a combustibile fossile, ogni anno gli Stati Uniti produrrebbero quasi 700 milioni di tonnellate metriche di anidride carbonica in più, una cifra all'incirca pari alla quantità di anidride carbonica prodotta annualmente dalle automobili statunitensi.
Le scorie radioattive
Non sono ancora stati completamente risolti i problemi relativi al confinamento di scorie nucleari a lungo termine. In effetti, una volta esaurito il fissile presente nel combustibile, restano i sottoprodotti della reazione a catena, che non sono fissili ma radioattivi. Questi sottoprodotti sono una gamma di isotopi con tempo di dimezzamento molto vario, ma che può arrivare anche ad alcune migliaia di anni: le scorie prodotte dai reattori si mantengono radioattive a lungo nel tempo, fino al caso estremo del Cesio 135 (135Cs) che impiega 2,3 milioni di anni per dimezzare la propria radioattività. Le scorie nucleari hanno altresì un volume minimo (un tipico reattore nucleare di potenza produce circa 25 tonnellate all'anno di combustibile irraggiato pari a circa 3 m³, corrispondente a 28 m³ una volta depositato all'interno di un fusto[54]) e in termini di volume costituiscono meno dell'1% dei rifiuti altamente tossici nel tempo nei paesi industrializzati, sebbene la loro tossicità non sia paragonabile.
Esperimento di vetrificazione di scorie radioattive
La quantità di scorie potrebbe essere ridotta in diversi modi, sia tramite ritrattamento nucleare sia con reattori autofertilizzanti veloci; i reattori subcritici (o fissione assistita, amplificatori di energia, accelerator driven system o TraSco-EuroTrans che dir si voglia) e i reattori autofertilizzanti veloci (FBR) possono ridurre di molto il tempo di confinamento sia delle scorie neoprodotte, sia di quelle già esistenti. Il 96% delle scorie altamente radioattive potrebbe essere riciclato e riutilizzato se i rischi aggiuntivi di proliferazione fossero ritenuti accettabili. Questi progetti vengono approfonditi fin dai primi anni novanta, e prevedono due alternative:
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l'incenerimento (incineration), cioè il bombardamento dei radioisotopi con neutroni prodotti per "spallazione" da un bersaglio colpito con protoni accelerati con un apposito acceleratore di particelle (accelerator driven system);
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colpire i radioisotopi con i raggi gamma prodotti da un apposito laser.
Nonostante i notevoli investimenti in tempo e denaro, non si è ancora giunti a risultati definitivi su queste procedure, che comunque richiedono investimento nell'ordine del miliardo e mezzo di euro per ogni impianto[55], gettando così un'ulteriore, pesante incognita sui costi dell'elettricità nucleare. Il plutonio, che è contenuto nelle barre di combustibile esaurito, è estratto in impianti simili a quello Areva a La Hague (Francia) o a quello BNFL a Sellafield (Regno Unito).
È necessario prevedere sia delle aree di stoccaggio in cui gli isotopi più radioattivi (scorie di terza categoria) abbiano il tempo di decadere, sia dei siti di immagazzinamento definitivo in cui riporre il restante materiale radioattivo (scorie di prima e seconda categoria, ossia con un'emivita inferiore ai 300 anni). Nel caso di riprocessamento del combustibile irraggiato, queste ultime vengono conservate in depositi superficiali di cemento che dopo circa tre secoli, quando la radioattività delle scorie diventa paragonabile a quella del fondo naturale, vengono definitivamente ricoperti di terra. Nonostante sia un punto molto controverso, i sostenitori del nucleare affermano che la soluzione dello smaltimento sotterraneo (geologico) permanente (reversibile o irreversibile che sia) delle scorie "a secco" (ossia senza preventivo riprocessamento) o di quelle di terza categoria nel caso di riprocessamento - un'idea che diversi paesi hanno già preso in considerazione - sia ben testata e provata; fanno notare l'esempio naturale di Oklo, il deposito naturale di scorie radioattive, dove le scorie sono confinate da circa 2 miliardi di anni con una contaminazione minima dell'ecosistema circostante.
Scorie nucleari, se pure molto poco durevoli in termini di radiotossicità, sono anche grandi parti delle strutture delle centrali nucleari. La radioattività indotta da neutroni e gli elementi, ad alta attività ma breve vita, rilasciati dall'operazione quotidiana del ciclo di raffreddamento sulle parti a contatto con il fluido primario, determinano la necessità tecnica, per evitare alti costi e rischi per il personale, di attendere lunghi periodi, dopo la fine delle operazioni produttive e lo spegnimento del reattore, prima di iniziare lo smantellamento. In Inghilterra, dove per centrali come quella di Calder Hall sono previsti cento anni di chiusura dopo lo spegnimento, il costo dello smantellamento si prospetta molto più basso (molte decine di volte minore) di quello che scontano ad esempio reattori come quelli Italiani, il cui smantellamento "accelerato" è stato deciso per ragioni politiche nella tredicesima legislatura, con un decreto dell'allora ministro Bersani, per i quali il costo di smantellamento potrà essere alla fine anche due o tre volte superiore a quello di costruzione.
In molti paesi non è ancora stato stabilito chi debba coprire i costi di gestione delle aree di confinamento delle scorie nucleari. Al momento sembra che probabilmente, almeno in Germania, lo Stato pagherà i costi per le scorie dirette (barre esaurite) e i materiali contaminati delle centrali o prodotti nell'estrazione del plutonio e dell'uranio, così come le altre scorie nucleari, perché l'industria non dispone di mezzi sufficienti. Negli Stati Uniti, le società di servizi pagano una tassa fissa per chilowattora in un fondo monetario per lo smaltimento amministrato dal Dipartimento per l'energia.
In Gran Bretagna, nell'aprile 2005 questo problema ha portato alla creazione dell'Autorità Nazionale per lo smantellamento.
La sicurezza
Considerazioni generali
Elemento di combustibile: assemblaggio di barre in reticolo quadrato 17x17
La sicurezza delle centrali nucleari è stata spesso messa in questione, dal momento che le strutture più visibili, come le torri di raffreddamento, appaiono fragili e potrebbero quindi essere facili obiettivi di attacchi terroristici, ad esempio da parte di kamikaze che impiegassero aerei di linea per colpirle (questo dibattito è stato molto acceso in Germania)[senza fonte]. Secondo i sostenitori del nucleare, questi attacchi potrebbero rendere le centrali inattive ma non potrebbero produrre contaminazioni radioattive dato che il nucleo delle centrali è protetto da mura di cemento armato spesse diversi metri: eventuali aerei kamikaze non sarebbero in grado di rompere i muri esterni a meno di utilizzare cariche esplosive estremamente potenti. D'altronde non è detto che gli attacchi debbano essere attuati attraverso esplosioni esterne all'edificio. Le centrali nucleari, secondo i loro sostenitori, vengono sorvegliate con estrema attenzione, anche se molti lo mettono in dubbio. Uno studio condotto dalla commissione statunitense che controlla il settore nucleare (Nuclear Regulatory Commission) ha evidenziato che più di metà delle centrali nucleari statunitensi non sono state in grado di prevenire una simulazione di attacco[56].
La sicurezza della tecnologia nucleare viene garantita, anche se in maniera meno vistosa, non solo nel bruciamento in centrale, ma su tutto il ciclo di produzione, che comprende anche trattamento e deposito. Tuttavia maggior attenzione dovrà comunque essere rivolta agli aspetti riguardanti il trasporto e lo stoccaggio delle scorie.
I sostenitori del nucleare sottolineano altresì l'alto livello di sicurezza vigente per gli addetti impiegati nel settore (che del resto sono inevitabilmente meno, essendo il nucleare un attribuite ad altre fonti: 342 all'energia prodotta dal carbone, 85 al metano e 883 all'energia idroelettrica[senza fonte].
Fughe radioattive
Secondo i contrari al nucleare, dato che le fuoriuscite incontrollate di materiale radioattivo mettono a rischio la sicurezza delle centrali nucleari, il rischio delle fughe radioattive sarebbe intollerabile. Per far fronte a questi timori, tutti gli operatori nucleari sono obbligati a misurare le radiazioni all'interno dei siti ed attorno a essi e a render note tutte le particelle e le radiazioni emesse. Ciò deve essere certificato da un organo di valutazione indipendente. Questa pratica è sostanzialmente identica in tutti i paesi membri dell'AIEA. Nel caso le sostanze fuoriescano in quantitativi considerevoli, cioè al di sopra dei limiti fissati dal NCRP (National Council on Radiation Protection and Measurements, Consiglio Nazionale sulla Misurazione e la Protezione dalle radiazioni) degli Stati Uniti e obbligatorio per tutti i membri AIEA, bisogna mettere al corrente l'AIEA ed è necessario che venga assegnato almeno un livello 5 della scala INES, un evento molto raro. Tutte le attrezzature vengono controllate regolarmente. Inoltre, tutti gli operatori sono obbligati a divulgare pubblicamente gli elenchi completi delle misurazioni. Un individuo che viva vicino ad una centrale in media ne riceverà circa l'1% dei livelli di radiazione naturali, molto al di sotto dei limiti di sicurezza. In Gran Bretagna studi approfonditi condotti dal Comitato sugli Aspetti Medici delle Radiazioni nell'Ambiente (COMARE) nel 2003 non hanno riscontrato prove di una maggior incidenza del cancro tra i bambini che vivono vicino alle centrali nucleari. Hanno invece rilevato un numero abnorme di leucemie e di linfoma non-Hodgkin (LnH) vicino ad altre installazioni nucleari, come quelle di AWE a Burghfield, di UKAEA a Dounreay e di BNFL a Sellafield sebbene COMARE abbia giudicato improbabile un legame tra questo e il materiale nucleare. Secondo COMARE, «è improbabile che le incidenze abnormi attorno a Sellafield e Dounreay siano un fatto casuale, anche se attualmente non esiste una spiegazione convincente del fenomeno».[senza fonte]
L'incidente di Černobyl', accaduto a causa della combinazione di svariate violazioni delle misure di sicurezza da parte del personale ed un progetto carente riguardo ad alcuni aspetti di sicurezza, non è fisicamente ripetibile in un reattore moderato ad acqua, che si caratterizza per altre tipologie di incidente. L'impianto di Černobyl' inoltre aveva una tipologia di sistema di contenimento secondario solo parziale: una struttura completa avrebbe forse limitato la dispersione all'esterno dei rilasci radioattivi.
Un involucro di contenimento completo era invece presente nella centrale di Three Mile Island (Pennsylvania, USA), che subì un incidente nel 1979 con la fuoriuscita di quantità significative di radionuclidi e la parziale fusione del nocciolo. Tale fuga radioattiva fu mitigata (ma non annullata) dalla presenza di appropriate strutture di contenimento del reattore americano rispetto a quello sovietico.
Questi sono fra i più noti e gravi episodi di incidenti a centrali civili, anche se un discreto numero di episodi anche seri si è verificato nel corso degli anni passati (ad esempio a Sellafield in Gran Bretagna o a Browns Ferry negli USA[57]) e continua a verificarsi tuttora, ad esempio con vari scandali in Giappone[58].
Un altro problema di sicurezza riguarda il pericolo di fughe radioattive non derivanti da guasti interni alla centrale, ma da eventi esterni che possono compromettere la tenuta delle strutture. Un evento climatico catastrofico, quale un tornado o un terremoto di particolare intensità, potrebbero distruggere l'edificio di contenimento, se non adeguatamente dimensionato. In Giappone gli impianti della centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, furono danneggiati nel 2007 a seguito di un terremoto di intensità superiore a quello considerato nel progetto e si ebbero rilasci di radioattività nell'ambiente non completamente ed univocamente quantificati (si veda la voce relativa per dettagli).
Sempre in Giappone, a seguito del terremoto di Sendai, nel marzo 2011, una serie di quattro distinti gravi incidenti occorsi presso la centrale nucleare Fukushima I hanno causato il Disastro di Fukushima Daiichi.
Sicurezza dei depositi geologici
Il deposito geologico di Asse in Germania, ricavato in una miniera di potassa aperta dagli inizi del Novecento, venne inizialmente studiato negli anni 60. In seguito allo scavo di ulteriore camere per lo stoccaggio di rifiuti a bassa e media attività[59], venne raggiunta la parte più esterna della miniera[60]. Data la conformazione delle rocce e dell'uso abbastanza intensivo della miniera, oltre che l'uso di materiale di riempimento, negli anni si ha avuto un deciso aumento delle infiltrazioni d'acqua, andando ad intaccare la tenuta di alcuni contenitore che contenevano i rifiuti radioattivi, evidenziando perdite di cesio. Nonostante si ritenga generalmente che le miniere di sale siano immuni alle infiltrazioni d'acqua e geologicamente stabili, e pertanto adatte ad ospitare per migliaia di anni le scorie nucleari, nel caso di Asse le infitrazioni ci sono e le perdite di sostanze radioattive sono state rilevate per la prima volta nel 1988. Gli studi preliminari effettuati negli anni '60 viceversa consideravano Asse una locazione adatta per lo stoccaggio dei LAW e dei MAW; per eliminare le infiltrazioni, si stanno studiando vari metodi per la stabilizzazione delle rocce che formano il deposito[61]. Seppur al livello di bozza, vi è anche la possibilità che i rifiuti vengano recuperati, nel caso che questo non comporti rischi maggiori per la popolazione e il personale che dovrà maneggiare i rifiuti[62][63]. Sono inoltre stati rilevati rischi di crollo dei tunnel, con ovvi enormi rischi di una forte dispersione delle scorie[64].
Questioni di proliferazione
Un'altra argomentazione contro l'energia nucleare è il rischio costituito dall'aumento di scorie radioattive prodotte, in circolazione e depositate temporaneamente in magazzini di fortuna. Infatti, anche materiale radioattivo di bassa qualità può essere adoperato per costruire le cosiddette "bombe sporche" (dette più precisamente "bombe radiologiche", dove la totalità del potere deflagrante è fornito da esplosivi tradizionali, circondati da materiale radioattivo vario che, al momento dell'esplosione, si diffonde nell'ambiente), il che le renderebbe un ottimo strumento per fini terroristici grazie alla relativa facilità di preparazione.
Un'eventualità ancora più rischiosa è il potenziale collegamento fra usi civile e militare (che nella maggior parte dei paesi sono mantenuti rigorosamente separati), che potrebbe portare a un aumento dei paesi possessori di bombe atomiche. Il know-how maturato per la costruzione di centrali nucleari potrebbe essere utilizzato per l'avvio di programmi di riarmo atomico. La produzione di energia nucleare si basa su un meccanismo di reazione a catena, controllato, che è tecnicamente più difficile da gestire di un utilizzo dell'uranio per scopi bellici.
Nelle barre di combustibile nucleare industriali, la frazione di isotopo di uranio fissile 235 deve essere incrementata dalla percentuale naturale dello 0,7% fino al 5% per potere generare una reazione a catena; fanno eccezione quegli impianti che usano acqua pesante o grafite come moderatori, come i reattori CANDU o i reattori RBMK. Un impianto per l'arricchimento dell'uranio (per esempio quello tedesco di Gronau) potrebbe – con grande difficoltà – aumentare la quantità dell'U 235 fino all'80% o più in modo da poter realizzare delle armi nucleari. Di conseguenza, alcune delle tecniche per l'arricchimento dell'uranio sono mantenute segrete (per esempio la diffusione gassosa, la centrifuga del gas, l'AVLIS e il ritrattamento nucleare).
Gli oppositori del nucleare sostengono che non è possibile distinguere fra uso civile e uso militare e quindi l'energia nucleare contribuisce alla proliferazione delle armi nucleari. Mentre è possibile far funzionare una centrale nucleare con materiali non affini alle armi, il possesso di un reattore comporta l'accesso a materiali e tecnologie che possono essere usati in speciali reattori militari a bassa combustione e ritrattati per produrre plutonio, l'elemento essenziale per la costruzione di armi nucleari ad alta resa. Questo è ciò che è accaduto in Israele, India, Sudafrica (che in seguito ha consegnato le proprie armi nucleari) e Corea del Nord: tutti hanno dato il via a programmi "pacifici" per l'energia nucleare con reattori che poi sono stati usati per produrre plutonio adatto per le armi. Israele e Corea del Nord attualmente non dispongono di centrali nucleari, mentre il Sudafrica ne ha aperta una molto dopo essersi dotato di armi nucleari. A molti pare una stridente contraddizione che George Bush nel 2006 abbia fortemente sostenuto l'opzione del nucleare come fonte energetica sicura, economica e pulita opponendosi contemporaneamente con tutte le proprie forze al programma nucleare iraniano, fino al punto di minacciare un intervento militare: se nonostante tutte le assicurazioni dell'Iran che lo scopo del progetto è puramente civile la sola possibilità che non sia così è sufficiente perché il rischio che si producano armi atomiche sia considerato tanto grave da imporre interventi tanto pesanti, allora è insostenibile la posizione di chi sostiene che le centrali nucleari non costituiscano un rischio di proliferazione nucleare.
Gran parte del timore popolare per la possibile proliferazione delle armi deriva dalla considerazione dei materiali fissili. Ad esempio, a proposito del plutonio contenuto nel combustibile esaurito che ogni anno viene generato dai reattori nucleari commerciali di tutto il mondo, è corretta ma fuorviante l'affermazione secondo cui servono solo pochi chili di plutonio per fare una bomba: tutti i paesi infatti dispongono di uranio in quantità tali da poter costruire alcune armi (l'uranio andrebbe però arricchito).
Il plutonio è una sostanza con proprietà variabili a seconda della fonte. È composta da diversi isotopi, come Pu-238, Pu-239, Pu-240 e Pu-241. Si tratta sempre di plutonio ma non tutti questi tipi sono fissili: solo Pu-239 e Pu-241 possono essere sottoposti alla normale fissione in un reattore. Il plutonio 239 è un combustibile nucleare eccellente; è stato anche molto usato nelle armi nucleari perché ha un tasso di fissione relativamente basso e una bassa massa critica: di conseguenza, il plutonio 239, con soltanto una piccola percentuale degli altri isotopi presenti (fino a un massimo del 7%), è spesso definito plutonio "weapons-grade" in inglese ("per le armi"). È stato usato nella bomba di Nagasaki nel 1945 e in molte altre armi nucleari.
D'altro canto, questo plutonio è totalmente diverso da quello che viene normalmente prodotto in tutti i reattori delle centrali nucleari commerciali ad acqua leggera (detto "reactor-grade") e che può essere separato ritrattando il combustibile esaurito. Il plutonio dei reattori contiene un'alta percentuale (fino al 40%) di isotopi di plutonio più pesanti, soprattutto il Pu-240, perché è dovuto rimanere nei reattori per un periodo di tempo relativamente lungo. Questo non costituisce un problema particolare per il riutilizzo del plutonio in combustibile ossido misto (MOX) per i reattori, ma influisce pesantemente sull'idoneità dell'impiego del materiale nelle armi nucleari. A causa della fissione spontanea del Pu-240, nel materiale per la produzione di armi ne è tollerabile solo un quantitativo molto limitato. La progettazione e la costruzione di esplosivi nucleari con il plutonio "reactor-grade" sarebbero difficili ed inaffidabili e finora nessuno le ha mai perseguite; tuttavia è stato creato un ordigno nucleare con plutonio a bassa combustione proveniente da un reattore nucleare Magnox. Testato nel 1962, la sua composizione non è mai stata ufficialmente resa nota, ma chiaramente si aggirava attorno al 90% di Pu-239 fissile. Tale metodo di produzione era molto costoso, inaffidabile e facilmente individuabile (il combustibile deve restare nel reattore per un periodo di tempo relativamente breve, ossia poche settimane, rispetto al normale uso, pari ad alcuni anni, e con una resa relativamente limitata). Tutti questi fattori hanno contribuito al fatto che non si ripetessero altre esperienze analoghe a quella dell'ordigno del 1962.
Il plutonio ad alta concentrazione può essere usato per la costruzione di armi nucleari, ma in pratica è usato ancora nelle centrali nucleari in barre di combustibile di MOX. I fautori nel nucleare rispondono affermando che esistono diverse tipologie di centrali nucleari che utilizzano tecnologie che non possono aver applicazioni militari e i paesi del primo mondo potrebbero vendere queste tecnologie agli altri paesi per evitare la proliferazione nucleare. Difatti, molti studi sulle centrali nucleari al Torio partono proprio da questo genere di considerazioni.
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