
- •Capitolo I Una riunione inaspettata
- •In antri fondi, oscuri, desolati,
- •I pallidi a cercar ori incantati.
- •Capitolo II Abbacchio arrosto
- •Capitolo III Un breve riposo
- •Capitolo IV
- •Capitolo V
- •Indovinelli nell'oscurità
- •Vide un altr'occhio dentro un verde viso:
- •Vedere non si può e neanche sentire,
- •Vive senza respirare,
- •I re abbatte e così le città,
- •Capitolo VI Dalla padella alla brace
- •Incendia felci, incendia piante!
- •Il grasso è sciolto, scorre a dovere,
- •Capitolo VII Una strana dimora
- •Infuriò il vento da Occidente a Oriente,
- •Verso il mare sull'acque sconfinate.
- •Capitolo VIII Mosche e ragni
- •Io sto qui, moschin briccone,
- •Voi, dal corpo grasso e sfatto,
- •Capitolo IX Barili a garganella
- •Issa! Spruzzi! Issa! Tonfi,
- •Voltate verso il Sud, al Sud andate
- •Capitolo X Un'accoglienza calorosa
- •Il re degli antri che stan sotto il monte
- •I ruscelli felici scorreranno,
- •I laghi brilleran nella campagna
- •Capitolo XI Sulla soglia
- •Capitolo XII Notizie dall'interno
- •Capitolo XIII Era questa la nostra casa?
- •Capitolo XIV Fuoco e acqua
- •Capitolo XV Le nubi si addensano
- •Capitolo XVI Un ladro nella notte
- •Capitolo XVII Scoppia il temporale
- •Capitolo XVIII
- •Il viaggio di ritorno
- •Capitolo XIX l'ultima tappa
- •Il suo corpo è sbriciolato,
- •Il suo dorso è fracassato,
- •Il vento sussurra tra alberi e fiori,
- •Il piede è una piuma, son l'erbe tappeti!
- •Il nomade dorme su un letto silvano,
- •In mezzo ai fior felici dell'estate,
- •Volgono infine alla dimora amata.
Capitolo XIV Fuoco e acqua
Se ora volete, come i Nani, avere notizie di Smog, dovete ritornare indietro alla sera in cui egli distrusse la porta e volò via pieno di collera, due giorni prima.
Gli Uomini di Pontelagolungo, un tempo chiamata Esgaroth, erano per lo più in casa, quella sera, perché il vento veniva dal nero Oriente ed era freddo; alcuni di loro, però, passeggiavano sulle banchine, e osservavano, come amavano molto fare, le stelle che si riflettevano sulla superficie liscia del lago, mentre sbocciavano in cielo.
Dalla loro città la Montagna Solitaria, seminascosta dalle basse colline all'estremità del lago, appariva attraverso una valle in fondo alla quale scendeva da Nord il Fiume Fluente. Solo la sua alta vetta si poteva vedere quando il cielo era limpido, ed essi la guardavano raramente, perché era malaugurante e fosca perfino alla luce del mattino. Ora era sparita del tutto, inghiottita dal buio.
Improvvisamente riapparve per un attimo alla vista; un brevissimo bagliore la sfiorò e svanì.
«Guarda!» disse uno. «Di nuovo le luci! La notte scorsa le sentinelle le hanno viste apparire e sparire da mezzanotte fino all'alba. Lassù sta succedendo qualcosa.»
«Forse il Re sotto la Montagna sta forgiando oro» disse un altro. «Da molto ormai è andato a Nord, ed è tempo che le canzoni si dimostrino di nuovo vere.»
«Quale re?» disse un altro con voce rude. «È più probabile che sia il fuoco predatore del drago, l'unico re sotto la Montagna che abbiamo mai conosciuto.»
«Non fai altro che predire malanni!» dissero gli altri. «Qualsiasi cosa, dalle alluvioni all'avvelenamento del pesce. Pensa a qualcosa d'allegro!»
Ma d'un tratto apparve una grande luce in un punto basso delle colline, e l'estremità settentrionale del lago si fece tutta dorata. «Il Re sotto la Montagna!» urlarono. «La sua ricchezza è come il Sole, il suo argento come una fontana, i suoi fiumi sono d'oro! Il fiume sta portando giù l'oro dalla Montagna!» gridarono, e dappertutto si spalancarono le finestre e ci si affrettò a correre.
Ancora una volta ci furono un'eccitazione e un entusiasmo incredibili. Ma il tizio dalla voce rude corse in fretta e furia dal Governatore. «Sta arrivando il drago o io sono pazzo!» egli gridò. «Tagliate i ponti! All'armi! All'armi!»
Allora le trombe sonarono l'allarme, ed echeggiarono lungo le rive rocciose. L'allegria cessò e la gioia si mutò in terrore. Ma il drago non li trovò del tutto impreparati.
Dopo non molto, tanto forte era la sua velocità, poterono vederlo precipitarsi su di loro come una palla di fuoco, che diventò sempre più grande e sempre più vivida, e neanche il più pazzo mise in dubbio che le profezie erano state alquanto inesatte. Tuttavia avevano ancora un po' di tempo. Ogni recipiente in città fu riempito d'acqua, ogni guerriero si armò, i dardi e le frecce furono preparati, e il ponte che li univa alla terraferma fu abbattuto e distrutto, prima che il ruggito terribile di Smog che si avvicinava diventasse più forte, e il lago si increspasse, rosso come il fuoco, sotto il battito orrendo delle sue ali.
Tra le grida e le urla degli uomini discese su di loro, virò verso i ponti, e rimase di stucco! Il ponte era sparito, e i suoi nemici stavano su un'isola in mezzo all'acqua profonda - troppo profonda, fredda e scura per i suoi gusti. Se vi si fosse tuffato, se ne sarebbe sprigionato vapore e fumo sufficiente a coprire di nebbia tutte le terre per giorni e giorni; ma il lago era più potente di lui, lo avrebbe soffocato prima che potesse attraversarlo.
Ruggendo si volse verso la città. Una nuvola di frecce nere si levò in aria e tintinnò spuntandosi sulle sue scaglie e sui suoi gioielli, e i dardi ricaddero sul lago incendiati dal suo respiro bruciante e sibilante. Nessun fuoco d'artificio che abbiate mai immaginato avrebbe potuto eguagliare lo spettacolo di quella notte. Al sibilo delle frecce e allo squillo delle trombe, il furore del drago raggiunse il culmine, finché ne fu reso cieco e pazzo. Nessuno, da tanto tempo, aveva osato muovergli battaglia, né avrebbero osato adesso, se non fosse stato per l'uomo dalla voce rude (Bard era il suo nome), che correva avanti e indietro rincuorando gli arcieri e incalzando il Governatore a ordinare loro di combattere fino all'ultima freccia.
Dalle fauci del drago schizzò fuori il fuoco. Per un po' egli volteggiò alto in aria sopra di loro, illuminando tutto il lago; gli alberi sulle sponde lucevano come rame e sangue, con le ombre che fluttuavano ai loro piedi. Poi piombò in basso, proprio attraverso la tempesta di frecce, reso imprudente dalla collera, senza prendere la precauzione di rivolgere le proprie parti scagliose verso i nemici, con l'unico intento di incendiare la loro città.
Il fuoco divampava dai tetti di paglia e dalle travi di legno, benché fossero stati tutti inzuppati d'acqua prima del suo arrivo, tutte le volte che Smog si scagliava giù con violenza passando e ripassando. E ancora centinaia di mani gettarono acqua dovunque apparisse una scintilla. Il drago turbinò indietro. Una sferzata della coda e il tetto del Municipio si sgretolò e fu raso al suolo. Fiamme inestinguibili divamparono alte nella notte. Un'altra picchiata, e un'altra ancora, e un'altra casa e poi un'altra divamparono incendiate e caddero; e ancora nessuna freccia aveva ostacolato o fatto del male a Smog più di una mosca delle paludi.
* * *
Da ogni parte ormai la gente balzava in acqua. Donne e bambini venivano stipati in barche stracariche nel porticciolo del mercato. Le armi venivano scagliate a terra. Si levarono lamenti e pianti, là dove solo poco tempo prima si erano cantate per i Nani le vecchie canzoni che parlavano della gioia a venire. Ora la gente malediceva il proprio nome. Il Governatore in persona stava avviandosi verso la sua grande barca dorata, sperando di fuggire su di essa nella confusione e di salvarsi. Presto tutta la città sarebbe stata deserta e bruciata fin giù alla superficie del lago.
Questo era quanto il drago sperava. Per quello che gliene importava, potevano pure salire in barca tutti. Allora sì che si sarebbe divertito a dar loro la caccia, oppure potevano star fermi fino a morire di fame. Cercassero di approdare, e lui sarebbe stato pronto ad accoglierli. Presto avrebbe incendiato tutti i campi e i pascoli. Per ora stava godendosi il divertimento di tormentare la città, ed erano anni che non si era divertito tanto.
Ma c'era ancora una compagnia di arcieri che resisteva in mezzo alle case in fiamme. Il loro capitano era Bard dalla voce rude e dalla faccia severa, che i suoi amici avevano accusato di profetizzare alluvioni e pesci avvelenati, sebbene conoscessero il suo valore e il suo coraggio. Era un lontano discendente di Girion, Signore di Dale: la moglie e i figli, tanto tempo addietro, erano sfuggiti alla rovina lungo il Fiume Fluente. Egli scagliava le frecce col suo grande arco di tasso, e le aveva ormai consumate tutte, tranne una. Le fiamme gli erano vicine. I compagni lo abbandonavano. Egli piegò l'arco per l'ultima volta.
All'improvviso qualcosa frullò fuori dal buio sulla sua spalla. Bard sobbalzò, ma era solo un vecchio tordo che, senza paura, gli si appollaiò vicino all'orecchio e gli portò notizie. Meravigliato, Bard scoprì che poteva capire il suo linguaggio, poiché apparteneva alla stirpe di Dale.
«Aspetta! Aspetta!» gli disse il tordo. «Sta levandosi la luna. Punta alla macchia scoperta sulla parte sinistra del petto, ora che si alza in volo e si dirige verso di te!» E mentre Bard esitava stupefatto gli riferì le notizie dalla Montagna e tutto quello che aveva udito. Allora Bard tese l'arco al massimo. Il drago tornava volteggiando, volando basso, e mentre egli si avvicinava la luna si levò sopra la riva orientale e inargentò le sue grandi ali.
«Freccia!» disse l'arciere. «Freccia nera! Ti ho conservata per ultima. Non mi hai mai tradito e io ti ho sempre ricuperata. Ti ho avuta da mio padre ed egli ti ebbe dai suoi antenati. Se veramente provieni dalla fornace del vero Re sotto la Montagna, va' ora diritta al bersaglio, e buona fortuna!»
Il drago piombò ancora una volta più in basso che mai e, mentre virava e si tuffava giù, il suo ventre brillò bianco per la luce scintillante delle gemme sotto la luna, tranne che in un punto. Il grande arco vibrò. La freccia nera schizzò via dalla corda, puntando diritta alla zona scoperta sulla sinistra del petto, dove la zampa anteriore si scostava molto dal corpo. Lì si conficcò e sparì, punta, asta e piuma, tanto fiero era stato il suo volo. Con un grido stridente che assordò gli Uomini, abbatté gli alberi e spaccò le pietre, Smog sobbalzò schiumando nell'aria, si capovolse e si schiantò rovinando al suolo.
Tutt'intero cadde sulla città. I suoi ultimi spasimi la distrussero completamente in uno scoppio di scintille e schegge volanti. Il lago vi precipitò sopra ruggendo. Un'enorme massa d'acqua si sollevò, bianca sotto la luna nel buio improvviso. Ci fu un sibilo, un vortice ribollente, e poi silenzio. E questa fu la fine di Smog e di Esgaroth, ma non di Bard.
* * *
La luna cerea si levò sempre più alta e il vento si fece più freddo e più violento; sollevò la bianca nebbia in colonne inclinate e in nuvole frettolose e la trascinò via verso Ovest a diffondersi in brandelli sopra le paludi davanti a Bosco Atro. Allora si videro le molte barche punteggiare scure la superficie del lago, e il vento portò le voci del popolo di Esgaroth che piangeva la perdita della città, dei beni e delle case. In realtà, avrebbero avuto molte ragioni di essere grati, se avessero ben riflettuto, anche se questa era proprio l'ultima cosa che ci si potesse aspettare da loro in quel momento: infatti, tre quarti della popolazione della città aveva almeno salvato la propria vita; i boschi, i campi, i pascoli, il bestiame non erano stati danneggiati; e il drago era morto. E che cosa ciò volesse dire per loro, non se ne erano ancora resi conto.
Si affollarono gemendo sulle sponde occidentali, rabbrividendo al vento freddo, e le prime lagnanze furono dirette contro il Governatore, che aveva lasciato la città troppo presto, quando alcuni erano ancora pronti a difenderla.
«Avrà anche un certo talento per gli affari, specialmente quelli suoi,» mormorarono alcuni «ma non è di alcuna utilità quando succede qualcosa di serio!» E lodarono il coraggio di Bard e il suo ultimo tiro possente. «Se solo egli non fosse stato ucciso,» dissero tutti «lo faremmo re. Bard, l'Uccisore del Drago, della stirpe di Girion! Ahimè, lo abbiamo perduto!»
E proprio in mezzo al loro discorso, dall'ombra avanzò un'alta figura. Era inzuppato d'acqua, i capelli neri gli spiovevano bagnati sulla faccia e sulle spalle, e una luce fiera gli brillava negli occhi.
«Bard non è perduto!» egli gridò. «Egli si lanciò in acqua da Esgaroth quando il nemico fu abbattuto. Sono io Bard, della stirpe di Girion; io sono l'uccisore del drago!»
«Bard re! Bard re!» urlarono; ma il Governatore strinse i denti che gli battevano.
«Girion era Signore di Dale, non re di Esgaroth» egli disse. «A Pontelagolungo abbiamo sempre eletto i Governatori tra i vecchi o i saggi, e non abbiamo tollerato l'autorità di uomini capaci solo di combattere. Che 'Re Bard' torni al suo regno. Dale ormai è libera grazie al suo valore, e niente gli impedisce di ritornarci. E chiunque voglia può andare con lui, se preferisce le fredde pietre nell'ombra della Montagna alle verdi sponde del lago. I saggi rimarranno qui nella speranza di ricostruire la nostra città, e di godere ancora, tra non molto, la sua pace e le sue ricchezze.»
«Vogliamo Bard come nostro re!» gridò per tutta risposta la gente che era più vicina a lui. «Ne abbiamo abbastanza di vecchi e conta-soldi!» E la gente più lontana riprese quel grido: «Viva l'Arciere, abbasso Sacco di Denaro!», finché il clamore riecheggiò lungo tutta quanta la sponda.
«Non sarò certo io a sottovalutare Bard l'Arciere» disse prudentemente il Governatore (infatti ora Bard stava proprio accanto a lui). «Questa notte si è guadagnato un posto eminente nell'elenco dei benefattori della nostra città; ed è degno di molte canzoni imperiture. Ma perché, o Popolo?» e qui il Governatore si alzò in piedi e parlò con voce molto alta e chiara, «perché tutto il biasimo tocca a me? Per quale colpa debbo essere deposto dalla mia carica? Chi ha risvegliato il drago dal suo sonno, ditemelo un po'? Chi ha ottenuto da noi ricchi doni e ampio aiuto, e ci ha fatto credere che le antiche canzoni potessero avverarsi? Chi si è fatto gioco del nostro buon cuore e delle nostre belle illusioni? Che tipo di oro hanno mandato giù per il fiume per compensarci? Fuoco di drago e rovina! Da chi dobbiamo ora reclamare il rimborso dei nostri danni, e l'aiuto per le nostre vedove e per gli orfani?»
Come vedete, non per niente il Governatore aveva raggiunto la posizione che aveva. Il risultato delle sue parole fu che per il momento il popolo dimenticò completamente l'idea di avere un nuovo re, e rivolse la propria ira contro Thorin e la sua Compagnia. Parole aspre e selvagge furono gridate da molte parti; e alcuni di quelli che prima avevano cantato le antiche canzoni più forte di tutti, furono ora uditi gridare a voce altrettanto alta che i Nani avevano deliberatamente aizzato il drago contro di loro!
«Pazzi!» disse Bard. «Perché sprecare parole e furore per quegli infelici? Senza dubbio sono stati i primi a perire nel fuoco, prima che Smog venisse da noi.» Allora, proprio mentre stava parlando, nel suo cuore si affacciò il pensiero che il favoloso tesoro della Montagna giaceva senza guardiano o padrone, ed egli tacque. Pensò alle parole del Governatore, e a Dale ricostruita, e alle campane d'oro, se solo avesse potuto trovare gli uomini.
Poi riprese a parlare: «Questo non è il momento per parole irate, Governatore, o per prendere in considerazione importanti progetti di cambiamento. C'è del lavoro da fare. Sono ancora al tuo servizio, sebbene tra un po' è possibile che ripensi alle tue parole e vada a Nord, con chiunque voglia seguirmi.»
Ciò detto, si avviò a grandi passi per aiutare a organizzare gli accampamenti e a prendersi cura dei malati e dei feriti. Ma il Governatore gli lanciò un'occhiata torva alle spalle, mentre se ne andava, e rimase seduto a terra. Pensò molto ma parlò poco, se non per chiamare a gran voce i suoi uomini perché gli portassero del fuoco e del cibo.
E dovunque Bard andasse trovava che tra la gente divampavano come il fuoco discorsi sull'enorme tesoro che adesso era incustodito. Si parlava della ricompensa per tutto il male subito, che presto ne sarebbe derivata, della ricchezza sovrabbondante e superflua con cui comprare ricche cose dal Sud; e questo fu di grande conforto nella loro situazione. Era proprio quello che ci voleva, perché la notte fu lunga e penosa. Solo per pochi fu possibile trovare un riparo (al Governatore ne toccò uno) e c'era poco cibo (perfino il Governatore dovette stringere la cinghia). Molti che erano sfuggiti illesi alla rovina della città, quella notte si ammalarono per il freddo, l'umidità e il dolore, e alcuni morirono; e nei giorni successivi ci furono molte malattie e grande fame.
Nel frattempo Bard assunse il comando, e ordinò quello che voleva, benché sempre in nome del Governatore, ed ebbe il difficile compito di governare il popolo e di dirigere i preparativi per proteggerli e per dar loro una casa. Probabilmente la maggior parte di essi sarebbe morta nell'inverno che stava avvicinandosi a grandi passi, se da qualche parte non fossero giunti gli aiuti. E gli aiuti arrivarono rapidamente, perché Bard aveva subito spedito veloci messaggeri su per il fiume, che si recassero nella foresta a chiedere soccorso al re degli Elfi Silvani, e questi messaggeri lo avevano trovato già sul piede di partenza, benché quello fosse solo il terzo giorno dopo la caduta di Smog.
Il re degli Elfi aveva ricevuto notizie dai suoi messaggeri personali e dagli uccelli che amavano la sua gente, e sapeva già molto di quanto era successo. Veramente enorme era l'emozione fra tutte le creature alate che dimoravano sull'orlo della Desolazione del Drago. L'aria era piena di stormi volteggianti, e i loro messaggeri più veloci volavano di qua e di là per i cieli. Ai margini della foresta si bisbigliava, gridava, cinguettava. Anche molto al di là di Bosco Atro si diffuse la notizia: «Smog è morto!». Le foglie fremettero e orecchie stupefatte si rizzarono. Perfino prima che il re degli Elfi si fosse messo in cammino, la notizia era arrivata a Occidente fino ai boschi di pini delle Montagne Nebbiose; Beorn l'aveva udita nella sua casa di legno, e gli Orchi erano a concilio nelle loro caverne.
«Questa sarà l'ultima volta che sentiamo parlare di Thorin Scudodiquercia, temo» disse il re. «Avrebbe fatto meglio a rimanere mio ospite. È una brutta cosa, però,» egli aggiunse «che non porta bene a nessuno.» Infatti neanche lui aveva dimenticato la leggenda della ricchezza di Thror. Fu così che i messaggeri di Bard lo trovarono intento a marciare con molti soldati e arcieri; e intorno a lui si raggruppavano fitte folle, pensando che stesse nuovamente per scoppiare una guerra quale da molto tempo non se ne era vista l'uguale.
Ma udita la preghiera di Bard, il re ebbe pietà, perché era il signore di un popolo buono e gentile; sicché, cambiando direzione alla sua marcia, che all'inizio era diretta verso la Montagna, si affrettò ora giù per il fiume verso Lago Lungo. Non aveva abbastanza barche o zattere per le sue schiere, che furono quindi costrette a marciare, avanzando perciò più lentamente; ma egli mandò avanti a sé, lungo il fiume, provviste e beni in abbondanza. Tuttavia gli Elfi hanno il piede leggero, e sebbene a quei tempi non fossero molto abituati alle paludi e alle terre insidiose tra la foresta e il lago, abbastanza rapido fu il loro cammino. Solo cinque giorni dopo la morte del drago arrivarono sopra le sponde a contemplare le rovine della città. Fu dato loro un benvenuto caloroso, come ci si può immaginare, e la gente e il Governatore erano pronti a stringere qualsiasi patto per il futuro in cambio del soccorso prestato dal re elfico.
I loro piani furono presto fatti. Assieme alle donne e ai bambini, ai vecchi e agli ammalati, il Governatore rimase indietro; e con lui rimasero alcuni bravi artigiani e molti Elfi ingegnosi; e furono occupatissimi ad abbattere alberi, e a riunire il legname inviato giù dalla foresta. Poi disposero di far sorgere molte capanne vicino alla sponda per difendersi dall'inverno imminente; inoltre, sotto la direzione del Governatore, cominciarono a progettare una nuova città, destinata a essere perfino più bella e più grande di prima, non nello stesso posto, però. Si spostarono a Nord risalendo la sponda; sempre infatti, in seguito, ebbero terrore dell'acqua dove giaceva il drago. Non sarebbe mai più ritornato al suo letto d'oro, giaceva stecchito, freddo come la pietra, rigirato sul fondo delle acque. Per secoli, quando il tempo era bello si poté vedere il suo scheletro enorme in mezzo ai pilastri rovinati della vecchia città. Ma pochi osavano attraversare quel punto maledetto, e nessuno ardì mai di tuffarsi nell'acqua gelida per ricuperare le pietre preziose che si erano staccate dalla sua carcassa putrefatta.
Tutti gli uomini d'arme che erano ancora vigorosi e la maggior parte delle schiere del re degli Elfi, si prepararono a marciare a Nord verso la Montagna. Fu così che, undici giorni dopo la rovina della città, l'avanguardia delle loro schiere passò la strettoia delle rocce all'estremità del lago e giunse nelle Terre Desolate.